Padre Rocco e le edicole votive napoletane

by Eugenio D'Amico

Le edicole votive agli angoli delle strade e nei cortili sono un aspetto della religiosità popolare tipica delle genti del sud. La loro storia è antichissima, e risale probabilmente all’uso greco e latino di costruire e venerare immagini degli Dei anche al di fuori dei templi dedicati al culto, edificando ai crocicchi delle vie simulacri dedicati ad Ecate ed all’interno delle case, altari dedicati agli antenati e agli dei tutelari della famiglia. Con il diffondersi del Cristianesimo fu perciò naturale mantenere questa usanza, sostituendo su questi altari immagini della Madonna e dei Santi.

A Napoli, dove spesso la religiosità popolare rivela antichi legami con il mondo pagano, le edicole votive costituiscono una spropositata presenza, affiancandosi alle centinaia di chiese per cui Napoli nel ‘600 fu detta la città dalle cinquecento cupole, tante e ancora di più erano le chiese, i conventi e i monasteri che punteggiavano le vie della città.

Soprattutto nel centro storico, nonostante le distruzioni provocate dagli interventi urbanistici del Risanamento e dai bombardamenti della Seconda Guerra mondiale, non c’è via, viuzza, slargo o vicolo che non abbia il suo bravo altarino, addossato o incluso al muro di uno stabile; la forma è varia, gli ornamenti cambiano ma si riconosce un certo comun denominatore: il tentativo di riprodurre un tempietto con tanto di immagine sacra al centro, una tettoia, talvolta delle colonne, edicole spesso non prive di valore artistico e altrettanto spesso orridi esempi di cattivo gusto, ma tutte curate assiduamente, come si vede dai fiori freschi, dai lumini e dalle lampade accese che le adornano.

Lo straordinario sviluppo delle edicole in Napoli rappresenta un singolare e interessante aspetto della religiosità popolare napoletana che ha bisogno di umanizzare il divino e di “vedere” e nello stesso tempo “sentire” il sacro come una protezione e una vicinanza concreta e tangibile, e perciò si esprime attraverso il culto dell’immagine effigiata alla quale vengono attribuiti poteri e capacità benefiche che rasentano l’idolatria.

Ci fu un momento, però, in cui le edicole furono chiamate anche ad una funzione diversa da quella di testimonianza del culto popolare. Siamo nella prima metà del Settecento quando, regnando Carlo di Borbone, un domenicano, padre Gregorio Maria Rocco, che i popolani chiamavano familiarmente padre Rocco, si adoperò per la loro diffusione in tutte le vie cittadine.

Padre Rocco, si distingueva tra il clero dell’epoca non soltanto per le opere di carità e per l’assidua predicazione del Vangelo alle classi più povere, ma anche per il nodoso e robusto bastone con cui imponeva ai peccatori più riottosi il rispetto delle regole e della Fede. Idolatrato dal popolo, fu un apprezzato consigliere del Re Carlo di Borbone e di suo figlio Ferdinando tanto che si disse che fosse “l’Uomo del popolo presso la Corte e l’Uomo della Corte presso il popolo”.  Fu lui a suggerire a Carlo la costruzione dell’Albergo dei Poveri, l’enorme ospizio destinato ad accogliere i poveri del Regno per toglierli dall’accattonaggio e dalla miseria delle strade ed avviarli ad un lavoro, e sempre lui si fece portavoce dei medici dell’Ospedale degli Incurabili per suggerire a Ferdinando di Borbone di far costruire un cimitero fuori delle mura cittadine per seppellire i morti altrimenti destinati alla fossa comune interna alla città e vicina all’Ospedale, per cui il Re, precorrendo di decenni il famoso Décret Impérial sur les Sépultures, di Napoleone Bonaparte (il famoso Editto di Saint Cluod che ispirò i Sepolcri del Foscolo), dette all’architetto Fuga il compito di progettare il Cimitero di Santa Maria del Popolo, che fu poi detto delle 366 Fosse e di cui forse converrà in altra occasione parlare.

Un altro problema, però, angustiava padre Rocco: ai suoi tempi, a Napoli, come in quasi tutte le città d’Europa, non esisteva illuminazione notturna ed il buio fitto delle vie e dei vicoli di notte si prestava a coprire furti, aggressioni ed ogni sorta di violenze e scelleratezze. L’espressione “che te cride ca’ vaco a mettere ‘a fune ‘e notte?” “cosa credi che vado a tendere la fune di notte?” tuttora usata a Napoli per dire “credi forse che vado a rubare?”, ricorda le aggressioni a scopo di furto che erano perpetrate a sera stendendo una fune da un lato all’altro della via buia ed attendendo i malcapitati che inciampandovi cadevano al suolo, per poterli facilmente derubare. Proprio per questo i tentativi di illuminazione notturna con lampioni, posti in essere dalla Municipalità venivano frustrati dalla delinquenza che provvedeva a distruggerli appena impiantati. Padre Rocco allora ebbe un’idea geniale che partecipò al Re, ottenendo l’autorizzazione alla realizzazione di cento crocifissi e trecento tele della Madonna con il bambino che furono poste agli angoli delle vie e affidate alla cura degli abitanti, nella certezza che la devozione della povera gente non avrebbe mai fatto mancare olio alle lucerne e che nessun delinquente, per quanto malvagio e corrotto, avrebbe mai osato spegnere un lume davanti ad un’immagine sacra. L’idea di padre Rocco risultò vincente; non solo nessuno osò mai spegnere i lumi delle edicole, ma anzi la gente fece a gara per abbellirle ed illuminarle ancora di più così che, dicono le cronache, grazie alle edicole votive Napoli divenne una delle città più illuminate d’Europa.

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