Quando le prof. venivano censurate dai Presidi-duce del Liceo Lanza

by Teresa Rauzino

Le tendenze misogine dei Presidi del Lanza trovano il loro riscontro “ideale” nell’intensa propaganda del Regime contro l’inserimento della donna nel mondo del lavoro e a favore «del suo ritorno al vero ed unico posto che la natura le ha assegnato: la casa».

La natalità, sinonimo di potenza, poteva essere difesa solo a condizione di riportare la donna italiana all’interno della famiglia, escludendola dal lavoro fuori casa e sottomettendola di nuovo al marito. Ma il risultato fu fallimentare: il tasso demografico non aumentò, le donne non abbandonarono la scuola e i posti di lavoro che “avevano invaso”.

Il 7 marzo 1938, il preside Matteo Luigi Guerrieri trasmise in Provveditorato la relazione finale per l’anno scolastico 1936-1937, redatta dal suo predecessore Giuseppe Marchese, che ho reperito presso l’Archivio di Stato di Foggia e che ho pubblicato nella mia monografia sul “Regio Liceo Lanza di Foggia” (Edizioni Parnaso, 2004).

Una relazione un po’ fuori della norma, come dichiarato espressamente nell’incipit dallo stesso preside Marchese: «Nelle condizioni particolari in cui mi trovo, di Preside collocato a riposo, non posso né debbo fare questa volta una relazione lunga ed esauriente; non posso perché mi mancano molti dati ed elementi di giudizio e non ho la forza, per ovvie ragioni sentimentali, di ritornare nella sede della mia scuola che ho lasciato con stringimento profondo di cuore, dopo quaranta anni di lavoro disinteressato ed appassionato». Il Preside eviterà, quindi, di parlare delle «deficienze degli insegnanti». Deliberatamente, eviterà di scendere nei dettagli: non farebbe opera giovevole. Ormai lontano dalla scuola, non vuole gettare l’ombra o il sospetto di durezza, che non ebbe mai: vuole, semmai, lasciare un buon ricordo di sé, in virtù di quell’«amore vivo che sente per tutta la famiglia scolastica». In ogni caso, farà pervenire al superiore Ministero qualche breve osservazione e considerazione di visione generale, frutto della lunga esperienza e dell’immenso amore che ha per la scuola, la più delicata e nobile tra le istituzioni della Patria.

Ma Marchese non smentisce il proprio stile neppure in questa relazione di commiato. Le sue critiche toccano i tre punti cardine dei cahiers de doléances del Liceo foggiano: i problemi logistici; i rapporti con la dirigenza dell’Onb; la misoginia. Un inconveniente che difficilmente sarà eliminato o corretto è infatti,  a suo dire,  “l’invasione” della donna nell’insegnamento medio.

Invasione crescente in un territorio solitamente marcato dai maschi.

Anche Marchese ha la sua tesi contro le docenti, già osteggiate dai Presidi-duce che lo hanno preceduto, e si avventura in una personale, contraddittoria argomentazione sulla “donna insegnante”: «La donna è nata per essere educatrice, ma a fare questo mestiere nella scuola anzi che nella casa, dovrebbe rinunciare al sacrosanto diritto di formarsi una famiglia, perché la donna maritata non può dare tutta l’attenzione e la passione richiesta alla scuola, la quale invece, per causa della donna insegnante, resta spesso in un certo stato di disordine e di abbandono». Le femmine hanno l’onere di badare ai figli: non possono perdere tempo a casa per preparare le lezioni o correggere i compiti, come i docenti maschi: «È risaputo che l’opera educativa di un insegnante coscienzioso non si esaurisce nella scuola, giacché occorre tempo ed agio per la quotidiana preparazione e per la correzione dei compiti e la preparazione degli esperimenti e degli esercizi; per questo dove troverà tempo e voglia la donna, che deve pur accudire ad una numerosa figliolanza?».

La debolezza argomentativa del preside Marchese svela l’arcano della sua misoginia. È l’intelligenza delle donne a fargli paura: «Io sono per il ritorno della donna nella casa a fare quello che facevano le donne romane: sapranno forse anche meglio a suo tempo offrire i figli alla Patria, se non sono donne troppo intellettuali». A questo punto, egli abbandona l’argomentazione precedente, “annacquata” da riflessioni sul ruolo sociale della “madre di famiglia”, sui suoi compiti fondamentali ed esclusivi che la distolgono da altri impegni. Di slancio e senza mezzi termini, chiarisce che non fa alcuna differenza se la donna sia coniugata oppure nubile: «La donna nella scuola, se è mamma di famiglia pensa più ai figli e alla casa che alla scuola: se è ancora nubile, tormentata ed assillata dalla febbre che mette nel sangue la naturale disposizione a trovare marito, à poca voglia e scarsa passione per la scuola: riesce indubbiamente educatrice perfetta solo quando non sia agitata e tormentata da questo prepotente bisogno, ma le donne che non vogliono il marito, che non bramano la prole sono poche e non sono perfette, e, credo, neppure desiderate».

Non si tratta di personali pregiudizi, tende a precisare Marchese fornendo, a suo dire, “prove oggettive” dell’inadeguatezza delle insegnanti: «Io ho sperimentato ed imparato che le donne procurano alla scuola molti fastidi. E poi io dubito che la donna sia capace di educare la gioventù studiosa a forti sensi di virtù, che sia pronta a dare esempi di forza d’animo nelle gravi contingenze della vita ed abile a plasmare gli animi a virili propositi, se è proclive a tingersi le labbra, a guastarsi i capelli e, per la vanità, neppure la santa voce dell’ammonizione e del richiamo la distoglie dal tenace proposito di seguire le biasimevoli consuetudini della moda e del capriccio. Ed io purtroppo ho visto anche le donne maritate entrare nelle aule ad educare i giovani coi capelli ossigenati e con le labbra cariche di minio».

La “filippica” di Marchese è davvero veemente, ma la chiusa della stessa lascia adito ad una lieve speranza nella “conversione” delle donne alla mission educativa voluta dal fascismo: «Sì, non poco la Patria da voi o, donne, aspetta, ma farete opera santa se cambierete costumi e pensiero. […] Faccio voti che il Signore ci dia luce intellettuale, buona volontà e aiuto costante per serbare puro ed incontaminato lo spirito dei nostri educatori, ferma la volontà di fare il bene come meglio si può, anche col sacrificio più duro, materiale e morale, per il bene e la reverenza che si deve alla gioventù, che è la speranza più vaga delle nostre anime e il tesoro più considerevole della Patria».

Amen!

Teresa Maria Rauzino*

*Il suo volume sulla storia del “Regio Liceo Lanza, dalle scuole Pie agli anni del Regime” è scaricabile qui :https://rauzino.files.wordpress.com/2010/12/il_regio_liceo_lanza.pdf

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