Schindler’s List, il Memoriale di Steven Spielberg

by Daniela Tonti

Ventinove anni fa Steven Spielberg ha sfornato due dei suoi migliori film nel giro di pochi mesi. Nella primavera del 1993 era in Polonia dove allestì il set del ghetto di Cracovia e il campo di concentramento di Płaszów per Schindler’s List e di notte supervisionava a distanza gli effetti speciali per i dinosauri di Jurrasic Park.

Realizzato con un budget relativamente piccolo di circa 22 milioni di dollari (circa un terzo del costo di Jurassic Park), in bianco e nero e in 72 giorni, Schindler’s list è tratto dal libro di Thomas Keneally, una versione romanzata di una storia vera, quella di un industriale tedesco di nome Oskar Schindler che riuscì a salvare 1200 ebrei destinati ai campi di concentramento . Il libro di Keneally rimase sulla scrivania di Spielberg per dieci anni, da quando cioè il regista completò ET – l’Extraterrestre poiché non si sentiva pronto ad affrontare la Shoa.

Il film racconta il viaggio morale di Schindler, eroe totalmente anticonvenzionale, che si trasforma da mercenario spregiudicato e compiacente a salvatore compassionevole. Molti critici hanno messo in evidenza il fatto che uno dei segnali visivi di questa trasformazione è il famoso cappotto rosso della bambina. Un passaggio che descrive anche Keneally nel suo romanzo. Sarà la bambina a offrire al protagonista, tramite il processo di individuazione di una vittima tra le migliaia, la comprensione più chiara dello schema nazista.

Insieme alla triste ironia comune a molti film di guerra (come quando gli ebrei affermano che le cose non possono peggiorare) una delle strategie dominanti del film è l’uso consapevolmente misurato sulla quantità di violenza dello schermo. Prima uno o due vittime (simbolicamente, il primo è un disabile) e poi sempre di più, finché lo spettatore non si trova di fronte alla carneficina, e alla terribile vista di cenere che cade come neve in tutta Cracovia.

Schindler’s List dura più di tre ore ed è un film che riesce a conciliare l’autenticità del dramma all’immediatezza emotiva garantendo allo spettatore anche il sollievo di una storia di redenzione. Schindler’s List ha recuperato più di 10 volte il suo budget al botteghino e ha portato a casa sette dei 12 premi oscar per cui è stato nominato, tra cui sceneggiatura e regia.

Prima di Schindler’s List, il cinema dell’Olocausto era stato dominato da documentari, in particolare da Shoah di Lanzmann . Ma dopo Schindler’s List il numero di film di finzione aumenta. Come non ricordare La vita è bella, Il pianista, Il bambino con il pigiama a righe.

Ma un film può veramente parlare dell’enormità dell’Olocausto? Soprattutto un film di Hollywood, e questo film, Schindler che si sofferma, come molti critici hanno evidenziato, sull’eroismo di un capitalista?
Stanley Kubrick espresse alcuni dubbi e la sua battuta al riguardo passò alla storia: “L’Olocausto ha riguardato sei milioni di persone uccise. Schindler’s List è sulle seicento che non sono state uccise”.

Ma per Spielberg, nato subito dopo la guerra e testimone diretto di episodi di antisemitismo, raccontare la storia di Schindler doveva servire a combattere l’ignoranza. Dopo aver realizzato il film, ha registrato la testimonianza di centinaia di sopravvissuti in un progetto video chiamato Survivors of the Shoah Visual History Foundation.

Il film non solo ricostruisce la Storia – come nelle sequenze durante la terribile liquidazione del ghetto – ma diventa anche un suo memoriale attraverso la coda dei sopravvissuti della fabbrica che gettano pietre sulla tomba di Schindler, a braccetto con gli attori che li hanno interpretati.

Non è la storia della Shoah, perché ci sono milioni di storie della Shoah. Sei milioni di queste storie non le sentiremo mai.

Steven Spielberg

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