Settant’anni di “Catene”, il neorealismo popolare e Raffaello Matarazzo

by Daniela Tonti

Sono passati settant’anni da quando usciva nei cinema Catene, il film con cui Raffaello Matarazzo aprì una nuova era della storia dei generi del cinema popolare in Italia che raccoglieva idealmente il testimone di quella cinematografia d’appendice e in costume derivata direttamente dal feuilleton e denominato “neorealismo popolare”.

Il feuilleton era un genere di produzione romanzesca che previlegiava storie di delitti d’amore: seduzioni, eroismi e delitti passionali in trame costruite quasi sempre intorno a un processo giudiziario e i cui maggiori rappresentanti furono Michel Zévaco, Ponson du Terrail ma anche Carolina Invernizio.

Le innovazioni al genere portate da Catene, uscito nel 1949, furono molte a partire dalla storia,  ambientata nel presente tra figure di lavoratori – chiaro riferimento all’attualità e ai temi dell’immigrazione –  fino alla girandola di rivelazioni e scene madri che è meno vorticosa rispetto ai modelli precedenti oltre alla caratterizzazione dei personaggi che sono raccontati con uno sforzo di plausibilità molto sensibile che segue quasi i tempi della cronaca.

Un’esperienza pluridecennale di regista, soggettista e sceneggiatore che ha portato Raffaello Matarazzo e Catene a un successo trionfale: 750 milioni di incasso e il primo posto nella graduatoria commerciale degli anni 49-50 con un distacco di oltre 220 milioni dal secondo classificato Totò cerca casa. La stagione successiva ecco Tormento : un processo, un’ingiusta condanna, la separazione dall’amata, una vita di stenti e infine il trionfo della giustizia. L’annata seguente è la volta di Figli di Nessuno.

A questa trilogia si affiancarono altri titoli sempre interpretati dalla coppia d’oro del divismo italiano Amedeo Nazzari-Yvonne Sanson Chi è senza peccato, Vortice, Torna!Al neorealismo popolare possono essere ricondotte anche varie opere di registi legati alle maggiori esperienze del cinema italiano post bellico come Anna di Alberto Lattuada che nel 1952 registra quasi un miliardo di incasso o come Persiane chiuse di Luigi Comencini.

La migliore definizione di questo nuovo genere la diede proprio il suo capostipite

La storia di personaggi che soffrono perché vittime di ingiustizie sociali o travolti da umane ed eterne passioni o perché schiacciate da un destino crudele; vicende imperniate sulla verità della vita quotidiana non cercata nei fatti esteriori ma nella concretezza dell’esistenza di ognuno il dissolversi improvviso, fatale di una felicità che sembrava raggiunta.

Raffaello Matarazzo

L’influenza esercitata dai film di Raffaello Matarazzo fu incalcolabile. Ne furono raggiunti anche nomi autorevoli del cinema come Mario Soldati che nel 1955 diresse La donna del fiume avvalendosi della collaborazione di Moravia, Pasolini, Bassani e Flaiano.

Mi si obietterà il pubblico ama solo la rappresentazione delle sciagure? No. Quello che ama di più è vedere come, attraverso l’opera dello stesso fato, per mezzo delle storture raddrizzate, o infine grazie alla rassegnazione là dove inutile e vana è la lotta, si possa arrivare a una felice conclusione, a una più umana sopportazione delle condizioni di vita. Cioè, la speranza in una mondo migliore. Ecco lo spettacolo più bello e gradito per tutti coloro che non vivono certamente nel migliore dei mondi.

Raffaello Matarazzo

Queste dichiarazioni tratte da “Trentasette milioni di spettatori hanno visto i miei film” un articolo apparso su l’Unità il 18 dicembre 1955 pongono in luce la mentalità cattolica che ispirò Matarazzo. Un cattolicesimo aperto a una speranza di giustizia e felicità ma intimamente deluso e privo su ogni piano di energia combattiva.

I personaggi patiscono gli eventi, al massimo cercano di porre rimedio alle conseguenze. Sono sempre in ritardo rispetto al cammino dei fatti. La loro vita è affidata alla cecità del caso, che colpisce e risolleva, abbatte e consola. Una religione definita dunque anticonformista.

Il pubblico italiano è un pubblico fortemente dissimile da quello americano dove le posizione di ottimismo eccessivo pervadono tutta la grande produzione di massa hollywoodiana. Gli italiani certo non amavano le sciagure ma ne riconosco immediatamente la verosimiglianza con la vita reale. Ed è proprio per questo che la sventura accompagna questi personaggi senza mollarli mai. Il neorealismo popolare rientra dunque nel genere larmoyant, lo spettatore si acquieta soltanto nel lieto fine ma le lacrime sono pronte ad affacciarsi sempre di nuovo. La tendenza a piangersi addosso e autoassolversi consolandosi da ogni inettitudine ha trovato in questo genere l’habitat ideale.

C’è nei film di Matarazzo anche una marginale aggressione ai nodi tipici del costume dell’epoca: le relazioni prematrimoniali, le ragazze madri, l’inesistenza dell’oblio per quel che riguarda peccati ed errori giovanili. Vittima delle tentazioni e preda del rimorso, colpevole e martire, la donna popolana italiana è la vera protagonista dei film di Matarazzo e si ritrova sempre ad attraversare gravi ostacoli ogni  giorno.

Il regista delinea una serie di ritratti femminili in cui si coglie la mancanza di autonomia di cui soffre la donna nei confronti dell’uomo e che la rende vittima predestinata di tutti i problemi del mondo. Difronte al disordine sociale del dopoguerra la salvezza viene indicata nel recupero della solidarietà di affetti tra i componenti del nucleo famigliare. Non per nulla l’unica grande battaglia combattuta dal neorealismo popolare fu quella dei figli illegittimi seppur combattuta con patetico filantropismo.

Il successo del filone inaugurato da Catene non si spiega senza far entrare in gioco il fattore divistico. I valori umani esaltati da Matarazzo trovarono incarnazione esemplare in uno dei maggiori fenomeni divistici del cinema drammatico italiano: Amedeo Nazzari. Fu il Neorealismo a rivolgersi a lui per due film destinati entrambi al successo Un giorno nella vita di Alessandro Blasetti e Il bandito di Alberto Lattuada e solo nella stagione tra il 1949 e il 1954, Amedeo Nazzari interpretò ben ventotto film. Generoso cavaliere dell’ideale, volto accigliato, occhi onesti e grande interprete di eroi perdenti della modernità, Nazzari incantava le donne borghesi e popolane, dalle riviste patinate al grande schermo nella costruzione dell’immaginario di un uomo fiero, dal cuore appassionato, ligio al codice dell’onore e del dovere. Che mai perdeva il suo fascino magnetico.

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