Perché la luna, il piacere di amare, il vino che ci fa dimenticare la fuggevole precarietà del vivere, appartengono all’umanità di ieri, di oggi e di sempre. Come vi appartiene la splendida civiltà dell’Iran, scempiata da ferocia e fanatismo. Buona domenica.
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La parola a sproposito della morte. Per Costantino, per gli altri, per tutti noi
Fra i molti poeti che hanno cantato la morte, il distacco, il lutto, ho amato in modo particolare Wislawa Szymborska, la polacca premio Nobel 1996. È lei ad avere scritto questa poesia che a me pare simbolo assoluto della condizione umana.
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L’autunno, e per la precisione i suoi violini, hanno attirato anche l’attenzione di Paul Verlaine, l’impressionista in versi, sommo fra i poeti francesi del tardo Ottocento.
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La libertà può essere cantata anche in termini minimi. Mi piace ricordare al proposito una breve lirica di Abbas Kiarostami, il grande regista iraniano che fu anche poeta di vaglia. La inserisco perché il cuore di ogni individuo civile batte in queste cuore con le donne e gli uomini veri di Teheran, in piazza per una martire della ferocia di quelle creature d’inferno che sono immancabilmente coloro che pensano di agire nel nome di Dio.
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“Io mi sento vivere quando tu mi fai male”: il dolore e le sue questioni capitali
Nell’esperienza comune condividere un dolore e le sue ragioni rappresenta quasi sempre un sollievo. E il dolore, talora presente anche in forma d’orrore, può essere una potente forza di slancio dell’esistenza.
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Fu Costantino Kavafis, nella mirabile Itaca, a stabilire che non vi è alcuna antinomia tra viaggio e ritorno, essendo quest’ultimo precondizione del primo. La poesia è notissima, specialmente alle mie conoscenze, visto che la infliggo ripetutamente alla loro attenzione
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Diirei che è d’obbligo partire da John Milton, l’autore del Paradiso Perduto, che nel 1673 scrive il sonetto On his blindness
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Giorgia Meloni, il feticcio del presidenzialismo e l’eluso diritto di scegliere chi governa
Nella vecchia Europa, infatti, i cittadini non scelgono direttamente né il Capo dello Stato né il presidente del Consiglio. E tuttavia viene loro data un’idea abbastanza precisa della personalità che avrà l’onore e l’onere di guidare l’Esecutivo.
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Non sarà ozioso dirlo: in nessuna democrazia può esserci un obbligo di restare al Governo se sono venute meno le ragioni che hanno indotto a sostenere l’Esecutivo. I
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Repubblica fece dei propri lettori –ed era la prima volta- un popolo, una comunità, replicando con numeri infinitamente maggiori e a cadenza quotidiana quelli che un tempo andavano in via Veneto con il Mondo di Panunzio e poi seguivano sull’Espresso formato lenzuolo l’inchiesta «Capitale corrotta, nazione infetta». Repubblica, pur essendo per i primi periodi il giornale di the rest of us, aveva, a differenza dei suoi antesignani, una vocazione maggioritaria.