Carlantonio Longi, un cartellonista per tutte le stagioni

by Orio Caldiron

Nella grande stagione della cartellonistica italiana che va dagli aurorali anni quaranta ai gloriosi sessanta, Carlantonio Longi – è nato a Livorno l’8 novembre 1921 e muore a Siena il 5 settembre 1980 a soli cinquantotto anni – si impadronisce delle terre incognite del cinema, procedendo con il passo spedito del folletto mercuriale, con la disinvolta curiosità di chi si avventura nei generi più diversi e nelle varie tecniche, giocando sapientemente con le forme e con i colori.

Se Anselmo Ballester rappresenta nelle vicende del manifesto cinematografico un punto di convergenza di esperienze francesi, tedesche, inglesi, che l’accompagnano dal muto al sonoro, dal decorativismo liberty alla forte scansione delle tavole più tarde, segnando la straordinaria maturità di una lezione irripetibile, Alfredo Capitani e Luigi Martinati, con cui costituiscono la prima agenzia pubblicitaria per il cinema, sono i più vicini alle sue squadrate geometrie, alla complessa alchimia dei piani del racconto, al gusto per l’impatto comunicativo che si impone per forza propria sul pubblico degli spettatori.

Nello stesso periodo – tra i cupi anni di guerra e l’inizio dell’esaltante stagione neorealista – il testimone passa a una nuova generazione di cartellonisti nati tra il 1918 e il 1928, da Averardo Ciriello a Longi, da Angelo Cesselon a Salvatore Campeggi, da Sandro Symeoni a Rodolfo Gasparri. Soltanto nel secondo dopoguerra comincia a dipingere per il cinema Enrico De Seta che, classe 1908, viene da una lunghissima carriera di giornalista disegnatore per un gran numero di testate, tra cui spicca il «Marc’Aurelio», l’affollato laboratorio del cinema italiano di domani. Si direbbe che il livornese Longi stia a metà strada tra l’esuberanza di De Seta, che imprime ai suoi manifesti l’agitato dinamismo del cinema, il senso rossiniano del movimento con brio, e l’attitudine plurale dei suoi coetanei che si provano come lui nelle varie direzioni, tutti alla ricerca di una propria cifra.

Campeggi, che firma Nano, diventa l’officiante più prestigioso del rito americanista, proponendo nelle centinaia di manifesti dipinti per le major i gesti e le posture della grande mitologia hollywoodiana, di cui nel disegno a tutto tondo, nella immediata riconoscibilità dei volti, nella densa saturazione degli sfondi rincorre i tratti congeniali e simpatetici dello stile di un’intera cinematografia. Cesselon esalta la sua personale vocazione di ritrattista, attento a privilegiare l’icona dell’attrice sul resto dell’affiche, in cui paradossalmente non illustra l’immagine impostagli dalla committenza, ma se ne serve come farebbe un pittore con la modella per la ricostruzione del temperamento divistico, dello speciale carisma della stella. Symeoni privilegia sempre di più il suo sguardo di pittore puro, che scompone le figure con un procedimento divisionista, aperto all’astrazione. Sul solco della tradizione di ballesteriana, Gasparri lavora sui contrasti tra chiaro e scuro, accentua le flagranze luminose, elaborando lo statuto di un manifesto moderno di singolare intensità. Ciriello è uno straordinario illustratore di romanzi d’avventure che nei manifesti punta sulla drammaticità dell’evento rappresentato. Il massimo di suggestione è ottenuto con scelte compositive di rara sapienza.

IL PIÙ FAMOSO È RISO AMARO

Se le prime prove sono più che apprezzabili, l’esplosione di Longi avviene nel dopoguerra con una serie di cartelloni di film italiani di spicco da Molti sogni per le strade di Mario Camerini a Senza pietà di Alberto Lattuada, da Sotto il sole di Roma a E’primavera, entrambi di Renato Castellani, in cui si impongono i volti eloquenti dei professionisti e degli attori presi dalla strada, da Anna Magnani a Carla Del Poggio, da Oscar Blando a Elena Varzi. Il più originale è il manifesto di Proibito rubare di Luigi Comencini, che si affida alla coinvolgente strizzata d’occhio dello scugnizzo napoletano sullo sfondo del muro pieno di pupazzetti infantili. Il più famoso è quello di Riso amaro di Giuseppe De Santis, che immortala l’esuberanza carnale di Silvana Mangano con la margherita in bocca: mentre le silhouettes delle mondine al lavoro s’intravedono ai lati del quadro, i volti di Vittorio Gassman e di Doris Dowling incombono dall’alto minacciosi.

Nello stesso periodo sono bellissime le brochures di Fuga in Francia di Mario Soldati e di In nome della legge di Pietro Germi, in cui il formato lungo e la pluralità di disegni consente al pittore di suggerire con l’abile montaggio delle scene il carattere romanzesco dei due film. Nel primo il difficile rapporto tra il gerarca fascista Folco Lulli e il figlio è suggestivamente inserito nel contesto corale degli emigranti incamminati sulla stessa strada tra la neve. Nel secondo il giovane questore Massimo Girotti, abbracciato alla baronessa Jone Solinas, si staglia sulla piazza di Sciacca calcinata dal sole, mentre la mafia a cavallo controlla il territorio. Non sorprende che Germi si sia accorto del pittore, apprezzandone la particolare sensibilità, fino a chiedergli per i prossimi film qualcosa di assolutamente insolito, e cioè di abbozzare i volti che riteneva più adatti ai personaggi previsti dalla sceneggiatura per aiutarlo nella scelta degli attori a cui affidarli.

MEGLIO SE COMICO

Nei vari generi si avverte sin dall’inizio la spiccata preferenza per il film comico che consente a Carlantonio di sfoggiare il gusto caricaturale e l’estro vignettistico, che si accompagnano spesso alle guizzanti immagini femminili da giornale umoristico. Se Macario ritorna a più riprese da Come persi la guerra a L’eroe della strada, da Come scopersi l’America a Adamo ed Eva, Aldo Fabrizi è al centro del vivacissimo manifesto di Papà diventa mamma, chiassoso e extralarge come il grande attore romano. Non mancano Renato Rascel con Botta e risposta, Walter Chiari con Amore a prima vista, Vittorio De Sica con Uomini e nobiluomini , Alberto Sordi con Bravissimo!, Nino Manfredi con Caporale di giornata, Tina Pica con Arriva la zia d’America, via via fino a Franchi e Ingrassia con 2 mafiosi contro Gold Finger. Ma il volto ricorrente è quello del principe, da L’Imperatore di Capri a Totò e le donne, da Totò e Carolina a Tototarzan. Il più divertente è il bozzetto per Totò e l’inferno con l’attore napoletano che tiene in braccio una strepitosa diavolessa munita di tridente. Il pasoliniano Uccellacci e uccellini ispira una serie di disegni di malinconica eleganza, in cui Totò sospeso a mezz’aria è struggente come un ectoplasma. La predilezione per comico e commedia affiora anche nel panorama internazionale dove spuntano il Bon Hope di Ho salvato l’America!, il Danny Kaye di Sogni proibiti, l’Alec Guinnes di L’incredibile avventura di Mr. Holland, il Peter Sellers di Sesso, peccato e castità, il Jack Lemmon di L’appartamento, manifesti diversi che colgono lo spirito di altrettanti momenti topici della comicità, volta volta impertinente, scatenata, paradossale, amara se non amarissima.

I MANIFESTI DEI GRANDI REGISTI

Sorprende nell’attività del cartellonista la serietà professionale con cui illustra il più modesto filmetto di genere, il musicarello come l’avventuroso, il peplum come il melodramma, in una pioggia di titoli spesso dimenticabili, di cui a ben guardare offre un’imprevedibile documentazione, un inatteso soprassalto di vitalità. È con lo stesso impegno che si misura con i film dei grandi registi italiani e stranieri, mettendo insieme una invidiabile galleria di autori. Inaugurata da Federico Fellini con lo splendido manifesto di Lo sceicco bianco. Il fotoromanzesco Alberto Sordi stringe a sé la sposina vestita da bajadera, mentre l’arcigno Leopoldo Trieste vorrebbe imporsi con la sua aria corrucciata e la pazzerella Cabiria-Giulietta Masina urla il bolloon con il titolo del film. Il manifesto di Il volto di Ingmar Bergman è marcato dai tratti segnati e sofferenti di Vogler-Max von Sydow, che si contrappone come in uno sdoppiamento incomponibile alle immagini avvenenti e vitalistiche di Ingrid Thulin e Bibi Andersson. L’avventura di Michelangelo Antonioni gioca sull’abbraccio tra Monica Vitti e Gabriele Ferzetti, che incombe sul paesaggio roccioso dell’isola, dove spicca la figuretta della scomparsa Lea Massari: ma come render conto figurativamente dell’assenza, della malattia dei sentimenti? Straordinario è l’affiche di La vita di O’Haru, donna galante di Kenji Mizoguchi, un capolavoro di raffinatezza e eleganza. Il pittore s’ispira ai toni assorti e ai colori acquarellati dell’arte orientale, cogliendo il rapporto tra lui e lei nei suoi tratti paradigmaticamente essenziali in una postura al centrocampo con un lampione a fare da contrappeso.

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