I 90 anni di Roman Polanski, tra capolavori, tragedie e polemiche

by Claudio Botta

90 anni appena compiuti e la ricorrenza appare incredibile, in rapporto alle esperienze che hanno profondamente segnato la sua vita, e all’energia, all’entusiasmo, alla creatività che non gli concedono tregue o battute d’arresto. Roman Polanski continua a essere un protagonista del cinema mondiale, lo sguardo sempre sospeso tra passato e futuro, ironia e spietata, spiazzante analisi. Il 2 settembre è in programma a Venezia la proiezione in anteprima mondiale di The Palace (ma lui non potrà essere presente), prodotto dal suo amico Luca Barbareschi e dalla Rai, in cui si concede il lusso di girare una commedia ambientata a Gstaad alla vigilia del Capodanno del 2000, cast variegato che va da Fanny Ardant a Mickey Rourke, particolarmente atteso a Venezia dopo la Palma d’Oro e la toccante interpretazione del suo The Wrestler che lo ha portato a sfiorare l’Oscar.

Il suo privato ha finito periodicamente per offuscare e mettere in discussione il talento, le capacità di tracciare ritratti memorabili e raccontare epoche, contraddizioni, conflitti esteriori ed interiori, di attraversare generi sempre lasciando una significativa impronta. Il thriller con Frantic, girato a Parigi con protagonisti Harrison Ford e l’allora giovanissima Emmanuelle Seigner, diventata poi sua moglie e madre di Morgane ed Elvis; e con L’ufficiale e la spia, in cui affrontando una delle pagine più buie e controverse della storia francese, rende attualissimo l’incubo vissuto da Alfred Dreyfus (e da lui stesso) mentre il MeToo sta scuotendo profondamente anche la Francia. La società borghese e i rapporti di coppia e i legami sempre più sfilacciati, tra ipocrisia e noia, con Carnage (il cast: Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz e John Reilly, impossibile indicare il più bravo) e Luna di fiele, con ancora la sua musa Emmanuelle e star del calibro di Peter Coyote, Hugh Grant e Kristin Scott Thomas. L’apartment movie, la trilogia horror con molteplici sfumature che comprende capolavori come Repulsion (memorabile l’interpretazione di Catherine Deneuve), L’inquilino del terzo piano (in cui torna anche a recitare, accanto a una superba Isabelle Adjani) e Rosemary’s Baby (indimenticabile Mia Farrow). E opere entrate nella storia del cinema come Chinatown (Jack Nicholson in una delle interpretazioni che lo hanno reso un’istituzione, e Faye Dunaway femme fatal impeccabile) e Il Pianista, il più personal e toccante, con tantissimi punti di drammatico contatto tra il protagonista polacco Wladyslaw Spzilman, unico membro della sua famiglia a sopravvivere all’Olocausto (interpretato da Adrien Brody, premiato con l’Oscar) e il regista, anche lui insignito dall’Academy dell’unica statuetta della sua carriera – ritirata sul palco da Harrison Ford – dopo la Palma d’Oro a Cannes. Senza dimenticare Il coltello nell’acqua, brillante esordio – a 29 anni – girato in bianco e nero nel 1962 e prima candidatura all’Oscar (poi vinto nella stessa categoria di miglior straniero da Federico Fellini con 8 e ½).

“Non separo l’uomo dall’opera”: le parole di Lucrecia Martel, presidente di giuria della 76esima edizione del Festival del cinema di Venezia, in aperta contestazione della presenza de L’ufficiale e la spia in concorso, sono il racconto dell’altro Polanski. Il bambino dall’infanzia tormentata dagli orrori dell’antisemitismo e del nazismo, la madre deportata e uccisa nel campo di concentramento di Auschwitz, il padre sopravvissuto a quello di Mauthausen. Il marito della bellissima Sharon Tate (conosciuta sul set di Per favore non mordermi sul collo, dove lei era la protagonista), trucidata la sera del 9 agosto 1969 mentre era all’ottavo mese di gravidanza nella loro villa a Los Angeles da seguaci della setta di Charles Manson. Il perverso protagonista delle cronache giudiziarie nel 1977, per l’accusa di violenza sessuale con l’ausilio di sostanze stupefacenti (poi ridotta a rapporto sessuale extramatrimoniale con persona minorenne) ai danni di Samantha Geimer, una ragazzina di 13 anni, nella villa di Jack Nicholson, 42 giorni di detenzione nel reparto psichiatrico del carcere di massima sicurezza di Chino e uscita con la condizionale in attesa del processo, fuga a Londra prima e a Parigi poi per evitare l’estradizione. Dal 2005 nella lista rossa delle persone ricercate dall’Interpol, l’arresto all’aeroporto di Zurigo – motivato dal mandato di cattura dagli Stati Uniti risalente al lontanissimo 1978 – e il rilascio dopo due mesi di prigione tra infinite polemiche e prese di posizione, pro (compresa la petizione Le Règle du jeu in Francia promossa e firmata tra gli altri da Bernard Henry Levi, Salman Rushdie, Milan Kundera, Isabelle Huppert, Isabelle Adjani, Louis Garrel) e contro nel 2009, con la vittima e i suoi familiari che più volte hanno ribadito pubblicamente che per loro si tratta di una vicenda chiusa. E nuove accuse di violenza da parte di Valentine Monnier nel 2019 per un fatto risalente a 44 anni prima) e di altre cinque donne, quando il movimento MeToo ha attraversato l’oceano, e Polanski è diventato il simbolo di un potere consolidato – che si nutre e alimenta di abusi sessuali – e da rovesciare: clamorosa e plateale la contestazione durante la cerimonia di consegna dei Premi César, i massimi riconoscimenti in materia di cinema in Francia, le tre vittorie (miglior regia, adattamento, costumi) su dodici nomination in altrettante categorie.

Esiste una prescrizione per certi comportamenti e reati, esiste la possibilità di separare vicende umane controverse e un percorso artistico unico? Un maturo novantenne è la persona che deve rispondere di fatti (eventualmente) commessi decenni prima? Ognuno ha e continuerà ad avere la propria personale risposta e percezione, in merito. Roman ha avuto e continua ad avere la forza (per i suoi detrattori la colpa) di andare avanti, come se le polemiche non lo riguardassero, come se i suoi movimenti non fossero limitati, come se la reputazione non contasse affatto. Accanto a sé, una partner che lo ha sempre difeso a spada tratta, in tutti i modi possibili, senza paura di esporsi e sovraesporsi, e che gli resta accanto nonostante la vistosa differenza d’età e il fango che non è riuscito a macchiare un rapporto solidissimo e ricco di complicità, non solo artistica (La Venere in pelliccia interpretata da lei e diretta da lui è un esempio e un concentrato di affinità elettive straripanti).

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