I diabolici di Henri-Georges Clouzot, la dualità psicanalitica che ha contribuito alla ridefinizione del thriller

by Giuseppe Procino

Quando “I diabolici” esce nelle sale cinematografiche nel 1955 si richiede al pubblico di mantenere il silenzio sulla trama e sui suoi relativi colpi di scena. Quello che Henri-Georges Clouzot realizza con questa pellicola è effettivamente qualcosa di spiazzante, ambiguo ed imprevedibile: un’opera che vive non solo di riuscitissimi colpi di scena ma anche di atmosfera e una caratterizzazione dei personaggi assolutamente ambivalente. Dualità, questo è il vero fil Rouge di una pellicola che ha contribuito alla ridefinizione del thriller e che gioca continuamente con gli stilemi di diversi generi cinematografici come l’horror oppure il noir.

Clouzot si diverte a confondere lo spettatore in maniera costante, mettendo in luce da subito ad esempio un mènage à trois che si fonda su dinamiche confuse e sbilanciate ed in cui le carte vengono mischiate continuamente.

La trama è presa da un romanzo Pierre Boileau e Thomas Narcejac, gli stessi di “Vertigo” di Alfred Hitchcock e non è un caso che prima di Clouzot, sia stato proprio il regista inglese ad interessarsi ai diritti del libro. Del romanzo però il regista francese mantiene solo qualche accenno alla trama principale caricando la storia di implicito. Nel libro abbiamo un marito e la sua amante che decidono di ammazzare la moglie tradita per poterne incassare l’assicurazione, qui invece abbiamo due donne, rispettivamente moglie ed amante della futura vittima, che decidono di sbarazzarsi di un uomo violento, opprimente ed oppressore. Nessuna assicurazione e chi gode di un privilegio economico in questo capolavoro del cinema francese è la moglie tradita e vittima di violenza. L’ambientazione è spostata in un collegio maschile in cui sembra che tutti siano informati sulle vite degli altri. Sono proprio gli altri a spingere lo spettatore verso il dubbio e l’incertezza, portandolo ad interrogarsi sul rapporto tra le due donne ad esempio.

Tutto il film è un gioco psicologico che si basa su rapporti di forza in continuo ribaltamento, evidenziando continui silenzi narrativi e facendo emergere continui dubbi sui rapporti tra i tre personaggi. La già citata ambiguità che il regista francese interpella dal noir più classico ribalta continuamente le parti, trasforma la vittima in carnefice e vice versa e pone lo spettatore nel ruolo di incosciente voyeur in preda ad una perversa ed insistente curiosità. Non a caso la cinepresa è sempre puntata sulle due protagoniste, magistralmente interpretate da Vera Cluzot e Simone Signoret, moglie e amante, una bruna e l’altra bionda, una pavida e l’altra impassibilmente glaciale, un binomio che sembrerebbe il più banale dei luoghi comuni eppure perfettamente convincenti.

“Les Diaboliques”, così, osa spingersi verso la psicanalisi implicita senza mai banalizzare e rendendo tutto funzionale ad un finale impressionante. Il capolavoro di Clouzot vive di tante trame sovrapposte in cui le più importanti sono quelle che lo spettatore immagina ma di cui non ha nessuna conferma. Ci si perde continuamente in una torbida confusione e si resta sconvolti. Un must imprescindibile. 

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