I primi, splendidi 40 anni di Flashdance, il film cult di Adrian Lyne

by Claudio Botta

Uscì nelle sale americane il 15 aprile del 1983 (in Italia venne presentato in anteprima il successivo 1 settembre, durante la 40esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, per poi essere distribuito dal 27 ottobre), e da ‘piccolo’ film, dal budget irrisorio di appena 7 milioni di dollari, diventò subito un caso, stroncato da autorevoli critici ma travolgente successo ovunque (200 milioni di dollari al botteghino mondiale, e terzo incasso dell’anno negli States, dopo il colossal Il ritorno dello Jedi e Tootsie). Flashdance è una combinazione perfetta di persone, eventi, alchimie.

 Il regista, Adrian Lyne: scelto dalla Paramount dopo il rifiuto di David Cronenberg e il concomitante impegno di Brian De Palma con Scarface, proveniva dal mondo della pubblicità, aveva girato un solo lungometraggio in precedenza ma il taglio, le luci, le sue inquadrature da videoclip patinato avrebbero poi formato l’immaginario dell’intero decennio, accompagnate da un altissimo tasso di sensualità, fonte di ispirazione a volte fin troppo plateale (il celebre fotografo e regista statunitense David LaChapelle diresse nel 2003 il videoclip I’m Glad di Jennifer Lopez riproducendone alla perfezione numerose scene, coreografie e costumi compresi, e la Sony – etichetta di JLo –  fu condannata in tribunale a versare una robusta penale). Flashdance fu per lui una sorta di presentazione del suo stile e del suo talento, esplosi con i due film successivi, controversi e scandalosi, 9 settimane e ½ (altra pellicola iconica in ogni aspetto, con Mickey Rourke e Kim Basinger coppia tormentata e irresistibile) e Attrazione Fatale (Michael Douglas e Glenn Close altra coppia ad alto tasso di fascino, seduzione, perversione), e confermati in seguito da altri film epocali come Proposta indecente (Demi Moore emotivamente travolta da Robert Redford) e Unfaithful (Diana Lane vertice di un triangolo con Richard Gere ed Olivier Martinez).

La protagonista, Jennifer Beals, ventenne studentessa di letteratura americana a Yale, scritturata per la disarmante naturalezza mostrata al casting nel calarsi nel ruolo di Alex Owens, saldatrice di giorno e ballerina di notte, il grande sogno di entrare nell’Accademia di danza di Pittsburgh. Da sconosciuta divenne immediatamente una diva planetaria, ma riprese e terminò brillantemente gli studi universitari, e nella lunga carriera ha sempre preferito il cinema indipendente o piccole produzioni – ma di qualità e spessore – ai blockbuster.

La colonna sonora, strepitosa. Per gran parte composta da Giorgio Moroder, nato in Val Gardena ma con fondamentali anni di formazione e iniziazione all’elettronica a Berlino e la svolta arrivata a Los Angeles con la collaborazione con Donna Summer e la nascita della discomusic, il sintetizzatore specialità della casa. Il film si apre e si chiude con le note in crescendo della sua What a Feeling, la voce affidata a Irene Cara (recentemente scomparsa), e l’immersione in quello che accadrà è già profonda (Premio Oscar l’anno successivo come migliore canzone, nella cinquina era presente – un record – anche Maniac, altro brano indimenticabile del film, di Michael Sembello).

La storia, una declinazione al femminile del sogno americano. Ambientata in provincia, l’anima proletaria e la passione per la danza, che Alex coltiva nonostante possibilità economiche limitate e uno status lontano dalle convenzioni. L’incontro con Nick Hurley (l’attore 38enne Michael Nouri), l’inizio di una storia d’amore sospesa tra favola e realtà, tra incomprensioni e sorprese, sguardi e sorrisi. L’esaltazione della femminilità non solo a livello fisico, ma come trionfo della volontà e dell’incapacità di privilegiare facili scorciatoie, un modello nel quale ritrovarsi e cercare di riflettersi.

E ancora, lo stile. Al provino Jennifer Beals si presentò indossando una felpa, dal collo tagliato con le forbici perché si era ristretta a causa di un lavaggio sbagliato in lavatrice, slabbrata al punto da scivolare spesso lasciando scoperta una spalla: diventerà un capo trendy per più generazioni (compreso l’attuale Z) e lancerà l’athleisure, l’uscita dalle palestre e l’ingresso nel glamour di capi nati originariamente per attività sportive; come avvenne anche per i body, i leggins (all’epoca si chiamavano pantacollant), gli scaldamuscoli, accessorio simbolo del decennio che la moda periodicamente ripropone.

Il film ha avuto in Italia estimatori eccellenti. I più insospettabili: Massimo Troisi, che rimase folgorato dalla bellissima protagonista senza però sapere (lo ha raccontato l’amico Lello Arena nella sua biografia) che nelle scene di ballo aveva quattro controfigure, compreso un uomo (Richard Colon, nome d’arte Crazy Legs; la francese Marine Jahan quella principale, e la ginnasta Sharon Shapiro nella sequenza al rallentatore durante l’audizione). Non esistevano i social e gli smartphone, ovviamente, e si conobbero a Roma soltanto sei anni dopo l’uscita del film, mentre entrambi lavorano a Cinecittà, lei in Doctor M. di Claude Chabrol, lui ne Il viaggio di Capitan Fracassa di Ettore Scola. Una frequentazione ben nascosta ai paparazzi, emersa solo dopo la morte di Troisi, con la retrospettiva su di lui organizzata da lei al MoMa di New York, e la successiva interpretazione della protagonista di Da domani mi alzo tardi, tratto dal romanzo di Anna Pavignano, a lungo legata all’attore. E Nanni Moretti, che ha omaggiato alla sua maniera Flashdance in uno degli episodi di Caro Diario (1993, dieci anni dopo quindi), spiegando durante un giro in Vespa che era il film che gli aveva “cambiato definitivamente la vita”, confessando il suo sogno di “saper ballare” purtroppo mai davvero realizzato, “e invece alla fine mi riduco sempre a guardare, che è anche bello, però è tutta un’altra cosa” ammette quando arriva in una balera all’aperto, e cerca lei nei volti delle ballerine presenti. Per trovarla invece (in un cameo indimenticabile) a passeggio con il marito dell’epoca Alexander Rockwell dalle parti delle Mure Aureliane, nella Roma afosa e deserta di agosto (ma fuori dal set si erano incontrati ben prima, nella giuria della seconda edizione del Torino Film Festival del 1984).

Ancora, altro assurdo e irresistibile omaggio nella quarta stagione di Boris, con lo stralunato regista René Ferretti (Francesco Pannofino) in canotta, pantaloncini neri e scaldamuscoli alle prese con la sua personalissima interpretazione di What a Feeling, nonostante fisico e tecnica non proprio da Roberto Bolle (è ironia, non bodyshaming, ndr).

Conclusione da boomer amante del cinema, della musica, del ballo: non li dimostra affatto i suoi 40 anni, Flashdance, e rivederlo in streaming è sempre una buona idea, in attesa dell’arrivo della serie tv, annunciata e destinata inevitabilmente a un confronto impietoso e nostalgico. (E Giorgio Moroder nei suoi dj set in giro per il mondo, quando si diverte a farli, raggiunge il picco della partecipazione, del trasporto, del divertimento e dell’intensità indovinate con quale canzone. Provare per credere.)

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