“Io voglio catturare qualcosa di essenziale nella bellezza del mondo”: la magnifica lezione di Olivier Assayas al Festival del Cinema Europeo

by Marianna Dell'Aquila

“Io ho sempre avuto quest’idea del cinema come esplorazione del mondo. Io parlo di soggetti di mondi che non conosco, in cui non sono mai stato e mi affascina questa possibilità che mi dà il cinema di indagare e di scoprire alcune cose del loro funzionamento”, così descrive il suo modo di fare cinema il regista francese Olivier Assayas ospite dell’ultima edizione del Festival del  Cinema europeo di Lecce che l’ha insignito dell’Ulivo d’oro nella sezione “Protagonista del Cinema europeo”.

Classe 1955, il regista Olivier Assayas è universalmente riconosciuto come uno degli artisti più originali e contemporanei della cinematografica mondiale. “La sua grande capacità è di utilizzare il cinema come strumento per esplorare e per indagare il mondo e lo fa con una libertà assoluta da tutti i punti di vista: formale, linguistico, stilistico, contenutistico. Questa apertura straordinaria che forse è anche il segno della contemporaneità del cinema di Assayas” ha dichiarato Alberto Barbera durante la conferenza stampa online del festival. Un conferenza stampa durante la quale il regista francese ha ripercorso la sua carriera e ha dato letteralmente una lezione di vita e di stile, dimostrando quanto l’arte e soprattutto il cinema abbiano la capacità di raccontare le emozioni umane e di aderire alla bellezza della realtà.

Nato in una famiglia ebrea di origini greche e ungheresi, Assayas ha respirato sin da piccolo aria di arte e di creatività. Ha ereditato dal padre sceneggiatore la passione per l’arte e per il cinema. Ma il cinema vero, quello dei film sul grande schermo, lo ha scoperto solo quando ha incominciato la sua carriera come critico cinematografico per i Cahiers du cinéma. “La mia cultura cinematografica l’ho fatta in televisione perché vivevo in campagna e non potevo andare alla Cinémateque come era accaduto per la generazione precedente. Quindi io mi sono fatto la cultura cinematografica che passavano alla televisione la sera, ma erano dei classici, cose che oggi non si potrebbero vedere in televisione. Poi quando mi sono spostato a Parigi, sono stato in un ambiente molto cinefilo e lì mi sono fatto la mia cultura cinematografica scrivendo per i Cahiers: la cosa importante è stata la possibilità di viaggiare e di andare ai festival dove potevo vedere cose che non si potevano vedere sugli schermi in Francia e da nessuna parte. E’ stato un periodo in cui ho avuto la mia educazione soprattutto alla teoria del cinema”.

Partendo dalla sua formazione di critico cinematografico e soprattutto di spettatore, Olivier Assayas spiega qual è veramente la sua idea di cinema del reale, sottolineando così, ancora una volta, la sua idea di cinema come strumento che serve per indagare la realtà, anche quella meno conosciuta: “Io ho avuto una formazione di pittore, quando ero ragazzo ero convinto che potessi fare sia il pittore che il regista, una speranza utopica. Quando ero venticinquenne avevo letto Roberto Longhi , ma non André Bazin (fondatore dei Cahiers du cinéma e ispiratore della Nouvelle Vague ndr). Progressivamente mi sono appropriato della teoria cinematografica e sono diventato senza volerlo un teorico di quello che stava accadendo del cinema al presente: la cosa importantissima per me è quella percezione, l’arte serve a riprodurre la complessità della percezione del reale. Per me la cosa essenziale è la realtà, è l’umanità. Io voglio catturare qualcosa di essenziale nell’espressione delle emozioni e qualcosa di essenziale nella bellezza del mondo”.

Regista, sceneggiatore e critico cinematografico con quasi venti lungometraggi all’attivo, oltre che qualche cortometraggio e produzione televisiva, Oliver Assayas ha sempre fatto dell’indagine della realtà il cardine della sua produzione filmica.

Molti lo considerano erede della Nouvelle Vague, ma lui sottolinea che “la Nouvelle Vague francese non ha lasciato un’eredità perché non aveva dei discepoli. “Io ho iniziato a fare film nella post Nouvelle Vague. I registi che iniziavano a fare film della mia età, facevano una versione diluita del cinema della Nouvelle Vague per me non interessante. Dunque, in questo senso, penso di essere stato molto impressionato e determinato da Michelangelo Antonioni che era uno dei protagonisti principali di un modernismo cinematografico negli stessi anni della Nouvelle Vague: ha fatto film in inglese e che prendevano tutto il mondo come scena. La trasformazione della modernità è diventata contemporaneità nel suo lavoro è stata molto importante per me e per molti registi contemporanei. Ad un certo punto ho trovato la mia identità, ho sentito l’esigenza di uscire da cinema francese per trovare la mia identità e ci sono riuscito usando l’inglese, il tedesco, il cinese… Perché io ho sempre avuto quest’idea del cinema come esplorazione del mondo. Io parlo di soggetti di mondi che non conosco, in cui non sono mai stato e mi affascina questa possibilità che mi dà il cinema di indagare e di scopre alcune cose del loro funzionamento”.  

Per questo motivo, quello di Olivier Assayas è uno stile che, per usare le sue parole, “va il contrario del cinema da storyboard, perché le cose prendono forma nel fare e la sceneggiatura deve essere aperta, deve essere solo un punto d’inizio”.

Attualmente Olivier Assayas sta lavorando alla realizzazione di una nuova serie tv in otto puntate per la HBO e ispirata al suo Irma Vep, il film che presentò nel 1996 al Festival di Cannes nella sezione “Un certain renard”, con Maggie Cheung e Jean-Pierre Léaud. La protagonista femminile della pellicola riporta immediatamente a riflettere sull’importanza che i personaggi femminili hanno nei sui film. “Quelle femminili sono tutte figure che spingono avanti il senso della realtà, svelano sempre qualcosa. Io sono sempre stato affascinato dalla posizione delle donne nella cultura moderna, nel senso che le donne durante Ventesimo secolo e l’inizio del Ventunesimo hanno dovuto completamente ridefinire la loro posizione nella società, mettere in crisi e ridefinire la loro identità su tutti i livelli – ha spiegato il regista -. Dunque l’identità, la riscoperta dell’identità femminile è il grande soggetto del Ventesimo secolo ed era sempre al centro di come il mondo intorno a me si trasformava e come metteva in crisi l’identità maschile. L’identità femminile ha una dinamica che mi ha sempre interessato, ma io non ho mai avuto un rapporto ideologico con questo discorso, solo che mi sono reso conto quando ho incominciato a scrivere che ero più interessato alla problematica femminile che maschile. Le donne nel mio cinema sono incarnazione della vita nel senso come costante cambiamento e ridefinizione”.

Cambiamento e ridefinizione che oggi, in periodo di pandemia, il regista francese attribuisce anche al cinema che secondo lui “dovrà reinventarsi perché non sarà più come prima. Ci sarà un periodo di reinvenzione collettiva e individuale”.

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