Le donne di William Somerset Maugham, lo scrittore inglese più saccheggiato dal cinema americano dagli anni trenta ai cinquanta

by Daniela Tonti

Che cosa hanno in comune Gloria Swanson, Joan Crawford, Bette Davis, Greta Garbo, Gene Tierney, Rita Hayworth? Nulla.

Se non fosse che tutte hanno impersonato sullo schermo le protagoniste dei libri di William Somerset Maugham, lo scrittore inglese più saccheggiato dal cinema americano dagli anni trenta ai cinquanta. Il personaggio stesso del romanziere di successo appare in più di un film con il proprio nome e cognome ma con il volto di Herbert Marshall, il più inglese degli attori inglesi, il partner di Greta Garbo e Marlene Dietrich.

William Somerset Maugham, nato a Parigi il 25 gennaio 1874 da genitori inglesi, è morto di alzheimer nella sua villa di Cap Ferrat sulla Costa Azzurra il 16 dicembre 1965, alternando lucidità a delirio e dilaniato da conflitti di natura economica per il suo immenso patrimonio con la sua unica figlia.

Perde i genitori in giovanissima età. Affidato allo zio, si dedica agli studi in medicina, ma presto li abbandona per dedicarsi all’attività letteraria.

Nel corso della prima guerra mondiale è reclutato dal Secret Intelligence Service, il futuro M16, operando prima in Svizzera e poi in Russia. Si sposa con Syrie Wellcome, da cui nasce la figlia Liza.

Le persone si rovinano continuamente la vita persistendo in azioni contro le quali le loro sensazioni si ribellano”.

Maugham non l’amava ma acconsentì passivamente al matrimonio per uno strano miscuglio di compassione, senso di colpa e sacrificio di sé. William era omossessuale ma cercava di amare le donne, combattendo invano contro la sua natura. Syrie sapeva della sua omosessualità e l’usò per ricattarlo.

Come ha osservato il romanziere Compton Mackenzie: “È stata l’unica volta nella sua vita in cui Willie si è comportato come un gentiluomo; il risultato è stato fatale“.

Quando nel 1928 divorziano, già da tempo viveva con il giovane americano Frederick Gerald Haxton, che muore nel 1944. Nel resto della vita gli è accanto Alan Searle.

William dagli inizi del Novecento ebbe un successo smisurato, tanto da battere, nell’epoca dorata di Hollywood, persino Conan Doyle quanto a numero di film tratti dai suoi romanzi: ben 98 contro i 93 dell’autore di Sherlock Holmes.

Il suo romanzo più noto è Schiavo d’amore (1915), dove si intrecciano autobiografia e finzione (la balbuzie di Maugham diventa il piede equino del protagonista).

Scrittore di enorme popolarità tradotto in tutto il mondo (ha venduto circa cento milioni di copie), i suoi romanzi di maggior successo sono Il velo dipinto (1925), Ashenden o L’agente inglese (1928), Acque morte (1932), La diva Julia (1937), Il filo del rasoio (1944), tutti riproposti in Italia da Adelphi e quasi tutti adattati o riadattati per il grande schermo.

Sono oltre una trentina i film tratti dalle sue opere dal muto a oggi.

Tristana e la maschera (1928) di Raul Walsh è la prima versione di Pioggia, il bellissimo racconto ambientato a Pago Pago, l’isola del Pacifico dove, appena sbarcati da San Francisco, si affrontano Sadie Thompson e Mr. Davidson, la prostituta e il missionario deciso a redimerla. Gloria Swanson, che è stata l’acclamata protagonista delle commedie coniugali di Cecil B.DeMille e Jeanie McPherson, subito dopo il matrimonio con il marchese di La Falaise,  si è innamorata del personaggio e, nonostante l’ostilità di Will Hays, riesce a spuntarla in barba al Codice. Il risultato passa alla storia. Sin dalle prime immagini l’irruente vitalità della star inaugura lo scontro senza quartiere con un allucinato Lionel Barrymore, il fanatico religioso dagli occhi grandi e luciferini.

Quasi senza storia è la seconda Pioggia (1932) di Lewis Milestone con Joan Crawford, un flop clamoroso nonostante l’abilità del regista di All’Ovest niente di nuovo.

Il pubblico non  riesce a condividere l’esplicita spregiudicatezza della protagonista. Non era ancora arrivato per Joan il periodo Adrian, quando il grande costumista mette in rilievo le sue spalle quadrate dando vita allo Stile Crawford dall’inconfondibile gusto mascolino al centro degli aggressivi women’s film tra mélo e noir, dove l’eroina con le labbra perennemente imbronciate, intraprendente e vulnerabile rivendica il proprio diritto alla felicità.

La terza Pioggia (1953) di Curtis Bernhardt è un film che aggiorna la vicenda alla seconda guerra mondiale, ma trova il principale motivo di interesse nella presenza di Rita Hayworth, l’estrema incarnazione del glamour hollywoodiano. L’irriducibile vivacità dell’attrice rivitalizza il personaggio, assicurandole la naturalezza senza compromessi. Certo, i tempi di Gilda sono lontani e l’altalena di matrimoni e divorzi lascia il segno e qualche ruga sul volto della diva latina, ma non spegne mai del tutto l’incontenibile carica sessuale della “Rossa Con Cui Vorrei Fare Naufragio”.

Nella filmografia di Maugham la danza la conducono le donne, verso le quali il narratore sospende il suo proverbiale cinismo. Donne forti, in cerca dell’affermazione e dell’amore, beffarde, ciniche e a volte orgogliosamente cattive, senza mai dimenticare i propri istinti e desideri.

Negli anni trenta è la volta di Schiavo d’amore. Un film intenso, ancora molto attuale nel racconto di un sentimento cieco e devastante. I capi della Warner non riescono a capire perché Bette Davis voglia interpretare a tutti i costi un personaggio odioso come quello di Mildred, la cameriera di cui è ossessivamente innamorato il timido e complessato studente di medicina Philip Carey/Leslie Howard. Lei lo porterà sempre più a fondo, verso la rovina, facendosi apertamente beffe della sua dedizione.

Schiavo d’amore (1934) di John Cromwell rivela la grinta dell’attrice, avviando la galleria di personaggi femminili perfidi, autoritari, sgradevoli, con lo strepitoso repertorio di occhiate oblique, labbra serrate, gesti insolenti, scatti nervosi, schiaffi e battute al veleno. Solo pochi anni dopo con Ombre malesi (1940) di William Wyler, tratto dal magnifico racconto La lettera, è ormai una star che può dimostrare a tutti di essere la più grande interprete drammatica della sua epoca. Basterebbe pensare alla sequenza in cui Leslie Crosbie, la gelida moglie del vip della colonia britannica di Singapore uccide l’amante, mentre la luce bianca della luna sembra inseguirla.

Dello stesso anno Il velo dipinto (1934) di Richard Boleslawski con Greta Garbo. Il film arriva dopo una ventina di titoli diseguali che hanno cristallizzato il suo mito e prima dell’ultima fase conclusa nel ’39 dallo splendido Ninotchka. Nonostante i suoi film siano spesso modesti con trame molto scontate e convenzionali, il carisma della Garbo si impone fino a illuminare l’intero film.

Il velo dipinto – una storia di tradimento e redenzione sullo sfondo della colonia inglese di Hong Kong – non fa eccezione. La bellezza misteriosa della sfinge svedese per sedurre le platee non ricorre al sex-appeal, ma alla fotogenia. Cecil Beaton l’ha paragonata a un sismografo capace di registrare la gamma più complessa e impercettibile di vibrazioni.

Moltissimi i remake dai libri Maugham tra cui i due remake con Eleonor Parker di Schiavo d’amore (1946) e Il velo dipinto/Il settimo peccato (1957), un terzo m Schiavo d’amore (1964) con, Kim Novak e il Il filo del rasoio (1946) con una cattivissima Gene Tierney.

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