Liliana Castagnola, la chanteuse suicida per amore di Totò, a cui disse: “Un tuo bacio è tutto”

by Michela Conoscitore

Mi hai fatto felice o infelice? Non so. In questo momento mi trema la mano. Ah, se mi fossi vicino! Mi salveresti, è vero?”. È una domanda che suscita tenerezza in chi legge: questo è uno stralcio tratto dal commiato che la cantante e attrice Liliana Castagnola lasciò ad Antonio De Curtis, il celebre Totò, quando decise di suicidarsi con una dose massiccia di sonnifero. Suicida per amore di Totò, un dramma che il principe della risata si portò dentro per anni, non sapendo come poter fare ammenda e ricordando Liliana intensamente, per tutta la sua vita tanto da chiamare l’unica figlia come lei.

I due si conobbero a Napoli, nel 1929 quando Liliana arrivò in città per una delle sue tournée. Il suo arrivo fu annunciato dalla sua fama scellerata: la bella artista di cafè chantant vantava una lista di vittime d’amore infinita, tanto da essere addirittura cacciata dalla Francia per aver indotto due marinai a duello per lei. Le era bastato semplicemente dire loro: “Battetevi a duello, il vincitore mi avrà…”.

Liliana Castagnola nacque a Genova, nel marzo del 1895 in un contesto famigliare tranquillo e normale, che nulla aveva a che fare con teatri ed esibizioni. Dopo il matrimonio, avvenuto nel 1914 quando la donna aveva solo sedici anni, ed un figlio nato l’anno dopo, comprende che quella vita le sta stretta, sognava il bel mondo, quello di scoperto nei libri che la madre Nicoletta, libraia, fin da piccola, le aveva fatto leggere. Così, abbandonò tutto per fare la chanteuse: cominciò a girare l’Italia e l’Europa, fu applaudita nei teatri più famosi dell’epoca divenendo celebre tanto da eguagliare Lina Cavalieri, artista bellissima e molto amata dal pubblico.

 La carriera di Liliana, comunque, fu duplice e procedeva su binari paralleli: le piaceva conquistare, ammaliare ed essere contesa, e se ciò avveniva in modo tragico, quasi parossistico, allora per lei era come fare il pienone a teatro. Una volta, però, ne fece lei stessa le spese poiché attirati dalla sua fama e avvenenza erano soprattutto uomini gelosi e possessivi; un pomeriggio, era distesa in vasca, ospite di uno dei suoi ammiratori in un famoso albergo di Milano, quando l’uomo preso da un raptus le sparò. Il proiettile le penetrò nella scatola cranica, ma non si rivelò fatale. L’uomo, credendola morta, si uccise a sua volta. Accadde nel 1925, fu un fatto di cronaca di cui i giornali si occuparono lungamente e che rimase impresso nella memoria pubblica riguardante Liliana. Da allora, e per tutta la vita, soffrì di atroci emicranie che provava a combattere con tranquillanti e sonniferi. La cicatrice della ferita fu coperta dalla pettinatura a caschetto che adottò come vezzo per far scomparire, almeno dal suo viso, quell’accadimento.

L’attrice proseguì con i suoi spettacoli e facendo strage di cuori, fin quando giunse a Napoli nel 1929. La sera della prima andò a vederla un giovane comico, da poco affacciatosi sulla scena teatrale e delle compagnie, si chiamava Antonio De Curtis, era un principe ma, un po’ come Liliana, aveva rifiutato una vita normale per inseguire la recitazione e il successo. Quella sera fu attirato a teatro dalle storie su Liliana e dai racconti sul suo straordinario fascino e, inevitabilmente, anche il giovane Totò ne rimase conquistato. Al termine dello spettacolo, le inviò in camerino un bouquet di rose con un biglietto su cui aveva scritto: “È col profumo di queste rose che vi esprimo tutta la mia ammirazione”. Lei civettuola, messa al corrente sulla sua identità, gli rispose: “Vi ringrazio, gentile signore, delle belle rose che ho gradito con molto piacere. Intanto suppongo non vi dimentichiate che, dopo un certo numero di giorni, queste meravigliose rose appassiranno. Che fare per contraccambiarvi? Sabato, al Santa Lucia, canterò per voi le mie migliori canzoni”.

Cominciò così il corteggiamento, tra visite di Totò alla pensione in cui Liliana alloggiava in via Sedil di Porto, missive e doni floreali, e che culminò con una sua foto autografata che Liliana regalò a Totò sulla quale scrisse: “Un tuo bacio è tutto”.

Furono appassionati e felici per un po’ di tempo, dopo qualche mese il fuoco che ardeva nel giovane comico si affievolì, più preso dal rincorrere il successo e soffocato dalle attenzioni sempre più ossessive di Liliana: l’attrice aveva trentaquattro anni, Totò ne aveva compiuti da poco trentuno, erano divisi da percorsi differenti e da desideri che allontanavano inevitabilmente le loro vite. Provò ad unirle più volte Liliana, chiedendo a Totò di lavorare insieme: “Lavoriamo insieme. Tu sarai il mio maestro e direttore del nostro lavoro. Non ti lascerò mai, perché ti voglio bene, perché tu sei un uomo di ardimento, pieno di entusiasmo per il bello e per il lavoro. Puoi darmi qualche speranza? Puoi incominciare a darmi la felicità? Ti amo”. L’attrice sperava che Totò fosse il suo amore, quello definitivo, tanto da arrivare a dirgli: “Per te, per questo nostro grande amore sono pronta a rinunziare anche alla carriera”. Totò vistosi messo alle strette, e non sapendo come evitare di ferire Liliana, di cui aveva percepito la fragilità, preferì accettare l’offerta della compagnia teatrale Cabiria e impegnarsi in una tournée che lo avrebbe tenuto lontano da Napoli per molto tempo. La donna lo venne a sapere e cadde nella depressione più cupa: quel che lei aveva inflitto ad altri, ora lo stava vivendo in prima persona.

Liliana non vide altra soluzione, Totò non rispondeva più alle sue lettere e così, un giorno prima della sua partenza, il 3 marzo del 1930, si vestì e truccò accuratamente, si stese sul letto nella camera della pensione, ed ingerì una dose massiccia di barbiturici. La ritrovò senza vita la cameriera, la mattina dopo. Totò fu raggiunto dalla notizia e si precipitò da Liliana. Non si perdonò mai per aver sottovalutato la sofferenza della donna, e provò in seguito in tutti i modi a celebrarne il ricordo e a proteggerla; la fece seppellire nella tomba della famiglia De Curtis al cimitero di Poggioreale, dove ora riposano entrambe.

Fino al giorno della sua morte, avvenuta trentasette anni dopo, Totò conservò un fazzoletto di Liliana, intriso di lacrime e mascara che raccolse quella mattina, accanto al suo corpo senza vita.

È morta, se n’è ghiuta ‘n paraviso!

Pecchè nun porto ‘o llutto? Nun è cosa

rispongo ‘a gente e faccio ‘o pizzo a riso

ma dinto ‘o core è tutto n’ata cosa!

Totò

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