Mamma Roma, da Casal Bertone a Cecafumo: il volo sulle borgate di Pier Paolo Pasolini

by Gabriella Longo

Ecchela laggiù casa nostra, cu’ a finestra lassù n’do ce batte er sole, n’do ce stanno qué mutande stese, lassù all’urtimo piano. Guarda che qua ce stamo solo n’artro po’ de giorni, vedrai in che casa te porta tu madre.

Vedrai quant’è bella, proprio ‘na casa de gente perbene, de signori.

Tutto ‘n quartiere de n’artro rango”.

Dialoghi, interpreti, autore, luoghi, titolo, citazioni — un film che va addirittura oltre la storia del cinema per entrare direttamente nella leggenda. Fin dal titolo: Mamma Roma. Dalla regia: di Pasolini. Dall’interprete-mito: Magnani. Dalla consulenza indispensabile per i dialoghi: di Sergio Citti. Dalle ambientazioni che sono, dopo Accattone, un tassello in più al viaggio di Pasolini fra le periferie romane. Un effetto-cult che si amplifica col passare del tempo, anche a sessant’anni dalla creazione dell’opera (1962).

Ancora una volta, come in Accattone, dentro le borgate. Ma questa volta la protagonista è una donna, Anna Magnani, nei panni di una prostituta romana che vuole cambiare vita per dedicarsi al figlio Ettore. Roma Garofolo, così si chiama lei, indica al figlio il loro futuro appartamento, quello con il sole che batte sulle finestre e le mutande stese, un simbolo di speranza e di riscatto per entrambi. Ma da Casal Bertone al Quadraro, il viaggio è breve e non certo verso un quartiere de n’artro rango. Il centro di Roma è lontano anni luce e le borgate della capitale disegnate da Pier Paolo Pasolini rappresentano, per chi le abita, il passato e il futuro assieme. Il resto della storia è nota. Mamma Roma, che ha tentato di reinventarsi come venditrice ambulante, tornerà a prostituirsi. Parallelamente Ettore, finirà a delinquere, per poi trovare la morte proprio lì, dove sua madre aveva riposto tante promesse e speranze.

L’immagine della città irrompe nel film già nella memorabile sequenza dell’arrivo di Mamma Roma e il figlio Ettore nell’abitazione di Casal Bertone. I due avanzano su un ampio vialone scandito da una fitta serie di pali della luce finché, la mastodontica facciata del condominio di epoca fascista di piazza De Cristoforis, non gli si presenta dinnanzi; i protagonisti scompariranno sotto l’arco, fagocitati dall’ombra della mole colossale.

La sequenza cinematografica nel film di Pasolini, possiede la potenza espressiva d’un trattato d’urbanistica, capace di rendere manifesto l’assurdo architettonico dell’edilizia fascista, nel suo aver cosparso la capitale di ghetti nelle borgate e ciclopiche costruzioni.

Il personaggio della periferie romane si siede così alla tavola degli interpreti: là, negli scenari delle borgate, Pasolini ritrova l’espressione simbolica della società italiana a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta, colta nell’isterica assimilazione della civiltà contadina dalla nuova borghesia consumistica. E il cuneo di Roma formato dalle consolari Tiburtina e Tuscolana e dall’arco di viale Togliatti, è la perfetta manifestazione di queste polarità inconciliabili. Quella casa vagheggiata da Mamma Roma che doveva essere una promessa di riscatto, si trova immersa in un concerto di tombe, ville imperiali, acquedotti repubblicani, torri medievali, casali ottocenteschi, prati coltivati, alternati a borgate fasciste, complessi dell’INA-Casa, palazzoni degli anni ’70, discariche abusive, svincoli autostradali, sottopassaggi, tangenziali, e persino un cimitero. Fra l’altro é questa la zona dove Pasolini visse e operò soprattutto nei suoi primi anni romani, quando abitava in via Tagliere e andava a insegnare a Ciampino. Sono le strade e i palazzi di questa zona a costituire lo sfondo dei primi film (Ragazzi di vita, Una vita violenta, La notte brava), e questi quartieri (Tiburtino, Prenestino, Casilino e Tuscolano) torneranno anche nell’incompiuto Petrolio. Qui si era formata quella nuova generazione di sottoproletariato, i cui figli erano i famosi ragazzi di vita di tanta letteratura pasoliniana. Erano per l’autore un tempo espressione estetica della sua passione e manifestazione della sua ideologia: i nuovi martiri di periferia, che con i loro volti, le loro storie, le loro baracche, esattamente come l’architettura romana, portavano sul corpo segni lasciati dal nuovo capitalismo.

E, esattamente come in Accattone, anche in Mamma Roma la stratificazione visiva di elementi architettonici storicamente lontanissimi sottolineerà la violenta frattura cronologica del panorama cittadino piuttosto che l’integrazione e la fusione armonica degli elementi al suo interno. Il grande palinsesto delle epoche che si può attraversare nel reticolo urbano di Roma, perde, attraverso questa grammatica cinematografica, la propria continuità storica. Le opere della metropoli (dai palazzi del potere a quelle funzionalistiche) hanno ridotto le opere d’arte a documenti storici, a muti testimoni di un passato che non dialoga col presente, in una società lanciata a folle velocità verso la scalata sociale.

E questo è ancor più evidente quando Roma ed Ettore, muovendosi da un quartiere all’altro, intentano la loro impossibile ascesa. Pensiamo alla celebre, ossessiva e splendida panoramica del quartiere di Cecafumo (oggi conosciuto col toponimo di Quadraro), ripreso dall’altura del Parco degli Acquedotti. Dalla parte opposta rispetto ai palazzoni bianchi sovrastati dalla cupola di Don Bosco, i ruderi di un acquedotto – “sogni di archi, ricordi di volte, briciole di arcate” (lo scriveva Pasolini nella prima stesura del film)- rappresentano, simbolicamente, quel passato dove Ettore correrà a rifugiarsi per vivere le sue esperienze umane sfuggendo anche fisicamente a quel mondo borghese tanto agognato. È infatti proprio lì, nella desolata dignità delle rovine romane cui fa da sfondo lo skyline di una Roma industriale, che Ettore è introdotto ai misteri del sesso e con i compagni di borgata s’inventa campetti da calcio segnando le porte con giacche e maglioni.

Ma non sono solo campi visivi gremiti a restituire l’idea di questi meccanismi di accelerazione incontrollata. Proviamo a pensare alle scene della prostituzione che in Mamma Roma si configurano ambientate in non-luoghi completamente svuotati, battuti da oscurità intervallati da rari sprazzi di luce. Nelle lunghe carrellate sul viale notturno delle prostitute, si scorge un ambiente circostante del tutto anonimo, uno qualsiasi dei tanti vialoni di periferia con enormi spartitraffico e grandi marciapiedi, con solo qualche personaggio che si accosta a Roma Garofolo per accompagnarla un tratto (Biancofiore, un poliziotto e altri animatori della notte).

In Accattone l’angolo della prostituzione, che era una strada secondaria di scorrimento nel punto in cui incontra delle rovine, offriva uno scorcio caratteristico dove la violenza dello sfruttamento veniva stemperata dalla calore del paesaggio. Qui invece, lo spettatore, è portato a soffrire insieme a Mamma Roma nel suo disperato e fallimentare tentativo di redenzione borghese, perché il suo sguardo è portato, letteralmente, a brancolare nel buio. E dunque il luogo del commercio del corpo si connota di un’oscurità metafisica, che è anche la condanna eterna per il sottoproletariato a vagare nelle regioni angoscianti della violenza e dello sfruttamento.

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