Cold war, quando la guerra è l’amor fou tra Zula e Victor

by redazione
Cold War review

Un bianco e nero ipnotico ed elegantissimo accompagna gli spettatori in Cold War, miglior film europeo del 2018 e possibile nomination all’Oscar come miglior film straniero, nelle sale italiane dal 20 dicembre 2018.

Il regista Pawel Pawlikowski aveva già impressionato in Ida, ma in questo dramma sentimentale si supera grazie ad un cast di attori eccezionali. Tomasz Kot, Agata Kulesza, Joanna Kulig, Borys Szyc, Cédric Kahn, Jeanne Balibar, Adam Woronowicz, Adam Ferency, Slavko Sobin tutti sono eccelsi, a cominciare dalla coppia di protagonisti di una bellezza che toglie il fiato. Illuminati magistralmente. Tutto è charme, nostalgia per un mondo diviso in ideologie, che sono anzitutto pose fisiche. Essenze dell’anima, ben rappresentate all’inizio del lungometraggio nelle scene contrapposte di una cupola di una cattedrale di campagna sventrata e dal rotatoria che attraversano i giovani aspiranti coristi. Misticismo negato e materialismo culturale.

 GIRATO TRA POLONIA, FRANCIA E GRAN BRETAGNA E DISTRIBUITO DALLA LUCKY RED

Il film è un grande viaggio nella musica popolare polacca e in quella di propaganda comunista stalinista oltre ad una ricerca assai fine sul jazz parigino degli anni Cinquanta e Sessanta, dentro la temperie esistenzialista pre ’68.

Nella Polonia alle soglie degli anni Cinquanta, la giovanissima Zula viene scelta per far parte di una compagnia di danze e canti popolari. Tra lei e Wiktor, il direttore del coro, nasce un grande amore, ma nel ’52, nel corso di un’esibizione nella Berlino orientale, ancora senza muro, lui attraversa il confine e lei non ha il coraggio di seguirlo.

Una guerra fredda psicologica

È amor fou tra chi resta e chi evade, restando aggrappato ad una donna, così da incarnare in lei tutto quello che ha lasciato alle spalle. Il dissidio è tutto qui. Un amore tra chi sperimenta anche il fallimento di sé esule e chi invece non riesce ad identificarsi e a riconoscersi senza le proprie radici, anche se ha accanto l’uomo della propria vita.

I due amanti appassionati si incontrano a Parigi nella scena artistica. Ma la felicità è ostacolata dalla barriera di classe sociale e da quella della Guerra Fredda, che è psicologica prima che politica.

Incontreranno la quiete sono in una maniera insolita su un altare, sacrificando e unendo per sempre le loro vite in quella stessa chiesa profanata dalla Guerra e non più ricostruita di inizio film.

Stupendo il primo tempo, nel secondo il finale un po’ troppo rocambolesco può forse lasciare delusi. Indimenticabile la scena della danza parigina di Zula, la registrazione del suo disco in francese nella maniera richiesta dal pubblico, così come i primi momenti del loro innamoramento tra i campi polacchi.

Antonella Soccio

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