American History X, dal 1998 un calcio nello stomaco denso di rabbia sociale che attraversa le generazioni

by Gianfranco Maselli

Rincontrare vecchi compagni di scuola a distanza di anni può essere un momento profondamente imbarazzante, soprattutto se oltre le rughe, le maschere e progressi che abbiamo indossato, ci si accorge che le nostre debolezze sono rimaste lì, a formare la stessa fragile difesa contro i calci dei bulli di sempre e a ricordarci quanto certi dolori ci siano tristemente connaturati. La stessa sensazione è venuta a farmi visita rincontrando American History X.

A 22 anni dalla sua uscita, la pellicola del 1998 diretta da Tony Kaye è ancora un calcio nello stomaco, denso della consapevolezza di quanto il paese più potente e “illuminato” del mondo stia ancora lottando contro debolezze rimaste immutate, cercando di spegnere il braciere del razzismo e dell’odio sistemico.

Quel fuoco, mai assopitosi, nelle ultime settimane si è sospinto ben oltre i suburbs degradati dove soleva bruciare più o meno silenziosamente.

Ha elevato colonne di fumo nero ben visibili in pieno centro, coltri gassose che ora tagliano un cielo accecato dall’odio, lo stesso che guida i passi della banda neonazista guidata da Derek Vinyard e dal guru Cameron Alexander, della loro comunità nera rivale, dei poliziotti e di tutti gli altri personaggi, archetipi che il film condanna ad una prigione di tensione sociale che attraversa le generazioni, un catena di violenza dalla quale evadere sembra impossibile.

Non riesce a scappare Derek che, dopo aver scontato 3 anni di carcere per l’omicidio di due afroamericani freddati sotto gli occhi del fratello minore Danny all’inizio della pellicola, torna in libertà senza riuscire a liberarsi di un vestito indossato perfettamente per tanti anni, cucito sotto il segno della vendetta per l’omicidio del padre: l’abito del suprematismo bianco.

Derek, un ruolo di consacrazione per l’Edward Norton della fine ’90, è l’archetipo perfetto dell’antieroe che riemerge da una negatività melmosa grazie ad un cambio di point of view, ad un ribaltamento del sistema carnefice-vittima reso possibile grazie all’esperienza del carcere.

La sperimentazione sulla propria pelle dello stesso dolore che tempo prima aveva inferto ad ogni minoranza incontrasse la sua strada, aprono un varco all’ex insegnante Sweenie e all’afroamericano conosciuto nella lavanderia del carcere, due figure inizialmente rigettate da Derek ma destinate, poi, a diventare il motore della sua anabasi.

Tornare in sé e tentare cambiar vita, tuttavia, non basta se la reputazione che ci precede si nutre dell’odio circostante diventando il più letale dei segugi, un cacciatore che non risparmia neanche gli affetti più vicini quando non riesce ad arrivare al diretto interessato.

Danny è così affascinato dalle passate imprese neo-naziste di Derek da esser pronto a votare il suo cuore alla causa del suprematismo bianco, inducendo l’estrema preoccupazione della madre Doris, della sorella Davinia e di Derek, pronto a tagliare ogni legame con un’ ideologia ed una guerra folle, un’enorme puttanata che sta consumando una famiglia intera.

Come in una tragedia greca, dove la tracotanza lascia macchie così profonde da oltrepassare ogni limite generazionale, così l’odio e le colpe del passato ricadono su un innocente presente.

“Una storia Americana X”, Il tema assegnato da Prof. Sweeney al giovane Danny come punizione per aver inneggiato al Mein Kampf, non è soltanto un’inconsapevole testamento morale redatto durante l’ultima notte di vita del ragazzo.

L’elaborato è la testimonianza di innocenza di un popolo intero, incatenato da un palla al piede fatta d’odio e costretto a trascinarsi sempre sugli stessi vecchi sentieri di risentimento raziale che sembrano quasi tramandarsi di padre in figlio, incatenando tutta la storia americana.

La coltre della rabbia sociale sembra spargersi ovunque oscurando quella via d’uscita che a Danny, improvvisamente, sembra così chiara nella conclusione del suo tema.

Passare una vita intera ad arrabbiarsi per il colore della pelle degli altri è proprio una scelta sciocca. La vita è troppo breve per poterselo permettere e troppo lunga per restare divisi.

Ritrovare nello stesso posto, a distanza di anni, quelle debolezze che ci hanno sempre reso dei bocconi ideali per le fauci della violenza, è un’occasione terribile di dolore ma anche il modo migliore per imparare che, forse, quella colonna di fumo che si eleva da quell’antico braciere arde per ricordarci che insieme resistiamo e divisi cadiamo.

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