Donne sull’orlo di una crisi di nervi: 35 anni fa la consacrazione internazionale di Pedro Almodóvar

by Claudio Botta

Quando il suo settimo film uscì nelle sale, il 23 marzo di 35 anni fa (1988), in Spagna Pedro Almodóvar era già una star. Mancego provato dalla frequentazione di due istituti – gestiti da gesuiti e salesiani – nell’infanzia e nell’adolescenza, la fuga sedicenne a Madrid, nel 1968, nel tramonto della dittatura franchista, ancora così soffocante però da imporre la chiusura delle scuole di cinematografia – la cultura e la libertà di pensiero e di espressione sono sempre state il principale nemico dei regimi – che avrebbe voluto frequentare per trasformare la sua grande passione in lavoro. Gli oggetti usati venduti al mercatino delle pulci a Madrid, il Rastro, per mantenersi; un impiego nella compagnia telefonica spagnola come addetto al front office, per una decina d’anni, la prima Super-8 acquistata. Il giorno dedicato ai clienti e all’ufficio, la sera e la notte riservati invece alla musica in locali underground, alla scrittura, alla recitazione in gruppi alternativi, a filmini amatoriali. La morte del caudillo rappresenta una liberazione per il paese, in particolare per la generazione che darà vita dalla seconda metà degli anni Settanta alla movida, movimento di reazione spontaneo, travolgente, coinvolgente, alla lunga repressione: un’esplosione di libertà, creatività, socialità, sessualità sfrenata, il desiderio irrefrenabile di scendere per strada e lasciarsi andare, senza paletti, orari, censure, tabù, imposizioni da tollerare o dalle quali sottrarsi clandestinamente.

E di questo cambiamento improvviso e inarrestabile nella società, nella cultura, nel costume diventerà la voce narrante, il testimone e l’anima, non semplicemente il regista irriverente di pellicole che, dall’esordio con Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio nel 1980 (film realizzato in cooperativa con la troupe e il cast, per mancanza di budget) propongono una galleria di ritratti, situazioni, storie eccessive, provocatorie, colori forti e disordinati a squarciare il buio dell’ipocrisia, della paura, dei (pre)giudizi. I generi sono mischiati, il melodramma si confonde e si fonde con la commedia, il realismo viene stemperato dalla fantasia, dalla satira, dallo sberleffo, un film dopo l’altro aumenta la confidenza con la macchina da presa, con il tempo da vivere e raccontare, l’attenzione privilegiata per tematiche off-limits per altri, il sesso fluido e spinto, ostentato e non più nascosto, la droga, i borderline, le vittime e gli emarginati che ritrovano dignità e riscatto, le periferie desolate che rappresentano un serbatoio di storie degne di essere raccontate, capaci di emozionare e stupire. La casa di produzione fondata con il fratello Augustin nel 1987, ‘El Deseo’, un manifesto e un programma e non un semplice nome. Poi arriva Mujeres al borde de un ataque de nervios (Donne sull’orlo di una crisi di nervi) e tutto questo mondo, questo caleidoscopio intrigante e spiazzante supera i confini spagnoli, troppo stretti per contenerlo: mese dopo mese sarà una rivelazione che stregherà tutti, conquisterà i maestri dalla cui esperienza Almodóvar attinge stile e tecnica, ma rivisitate, personalizzate e stravolte, e un pubblico che si immedesimerà, si ritroverà e si perderà in personaggi decisamente fuori dai giri e dai canoni classici, interpretati da attori che entrano a far parte di un circolo ristretto, elitario e popolarissimo al tempo stesso, alter ego del deus ex machina nelle sue molteplici sfumature e versioni. Il giovane Antonio Banderas, la sofisticata Carmen Maura, la ‘dama Picasso’ Rossy de Palma, l’intensa Julieta Serrano, e poi Cecilia Roth e Penelope Cruz, per citare solo le icone che hanno accompagnato e attraversato la sua carriera e che grazie a lui hanno avuto una carriera straordinaria.

In Donne sull’orlo di una crisi di nervi Carmen Maura (la Pepi del film d’esordio) è Pepa, doppiatrice cinematografica che riceve nella segretaria telefonica un messaggio d’addio dal suo compagno Ivan (Fernando Guillén), ha scoperto di essere incinta e cerca in tutti i modi di comunicarlo. E’ la protagonista di un cast dominato dalla componente femminile, come sempre nella sterminata filmografia del regista, che ha regalato al mondo ritratti di donne straordinarie raccontate nella loro fragilità, forza, dolcezza, fierezza, nelle loro paure e nel loro coraggio. Nel suo appartamento, un attico con vista mozzafiato (altro tema ricorrente del cinema di Almodóvar l’architettura d’interni, che merita un’analisi a parte per i colori adoperati, una tavolozza che va da quelli accesi – rosso, giallo, blu, verde non possono mancare – alle sfumature di pastello, riflessi di stati d’animo in continuo divenire; il design degli elementi d’arredo e la cura nei dettagli, raffinati ed estrosi, non necessariamente legati alla contemporaneità) che vorrebbe affittare, entrano in ordine sparso l’amica Carmela (Maria Barranco) disperata e in fuga per avere aiutato dei terroristi a sua insaputa, Carlos, figlio di Ivan (Antonio Banderas) e la fidanzata Marisa (Rossy de Palma), Lucia (Julieta Serrano) moglie di Ivan uscita da un manicomio, e altri personaggi ancora. Una tragicommedia in cui un gazpacho allungato con una massiccia dose di sonnifero determinerà svolte e risate, l’amore con le sue contraddizioni, gli errori, i pentimenti, gli slanci, messo in scena attraverso una sensibilità nuova. Il telefono distrutto una satira contro le distorsioni provocate, le bugie e le distanze alimentate da voci improvvisamente lontane e fredde.

Meritatissima la standing ovation al termine della proiezione (in concorso) a Venezia, nel settembre dello stesso anno, nell’ambito della 45esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica: il definitivo lancio internazionale, che porterà il film a sfiorare l’Oscar come miglior film straniero (battuto dal danese Pelle alla conquista del mondo, di Bille August) e a vincere numerosi, prestigiosi premi in tutto il mondo. Ma sarà un appuntamento semplicemente rimandato, perché il talento del regista spagnolo non conoscerà appannamenti e verrà riconosciuto e celebrato ovunque (anche a livello commerciale: la Swatch per il centenario del cinema, nel 1995, lancerà tre orologi a tiratura limitata disegnati da tre giganti, espressioni di culture profondamente differenti: Robert Altman, Akira Kurosawa e appunto Pedro Almodóvar). Negli anni Novanta lo sguardo sulla società si farà ancora più acuto e incisivo, le sperimentazioni continueranno fino a definire nitidamente e compiutamente uno stile unico e inimitabile, riconoscibile fotogramma per fotogramma, e che produrrà capolavori come Todo sobre mi madre (Tutto su mia madre) e Hable con ella (Parla con lei).

Per rimanere al cast di Donne sull’orlo di una crisi di nervi, Carmen Maura ritroverà Almodóvar soltanto nel 2006 con Volver (Tornare), Rossy de Palma sarà in molti dei film successivi, Julieta Serrano (sette film girati insieme) entrerà nella storia come attrice più anziana a vincere il Premio Goya, per il ruolo da non protagonista in Dolor y Gloria, in cui lo straordinario protagonista – che interpreta il regista stesso nel suo film più autobiografico e drammatico – è Antonio Banderas, cui soltanto lo strepitoso Joaquin Phoenix di Joker ha negato l’Oscar nel 2020. 35 anni dopo, nessuna polvere ha appannato immagini, ricordi, emozioni. E l’attesa per un nuovo film del regista spagnolo – il primo girato in lingua inglese – è sempre trepidante.

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