Fenomeno Zalone, Tolo Tolo e il tifo pro e contro i migranti degli italiani. Checco smonta ogni cliché

by Antonella Soccio

13,7 milioni di euro è questo l’incasso al suo secondo giorno di programmazione in sala del film Tolo Tolo di Checco Zalone, che ieri ha totalizzato altri 4,9 milioni di euro dopo gli 8 e rotti del primo giorno.

Si fermerà la corsa di Tolo Tolo del produttore Pietro Valsecchi? 1100 sale, il numero delle copie distribuite è impressionante, così come è impressionante l’entusiasmo con il quale fette incredibili di pubblico, che ormai non si mobilitano per il grande schermo neppure a Natale, si accingono a vedere in religioso silenzio, acquistando e prenotando il proprio biglietto ore e ore (se non giorni in alcuni casi) prima.

Il pubblico appare sempre più diviso, tra followers adoranti e gli haters, il film spiazza, non c’è che dire. Sovranisti arrabbiati e delusi contro Sardine festanti che trovano in Zalone il loro alfiere pop. La comicità di Checco Zalone, a 10 anni dal suo primo film in coppia con Gennaro Nunziante, scaricato nel percorso, in questo suo quinto film, dopo Cado dalle nubi, Che bella giornata, Sole a catinelle e Quo vado?, è diventata sempre più sottile e sofisticata e rimane quella che tutti conosciamo e che fa sbellicare per il suo politicamente scorretto solo quando si rivolge verso le donne (tanto da attirarsi lo stigma di sessismo) e agli stravizi arcitaliani di non pagare le tasse, vizi che subito sono acquisiti anche dagli amici migranti in Italia.

Chi dice che questo suo film faccia meno ridere, forse faceva grassissime risate prima, ma dopo 10 anni il turpiloquio, con i meme osceni che invadono internet ad ogni ora, non è più tanto di moda. L’ironia di Zalone oggi è molto più tagliente e trasversale. Chi non ride è perché si riconosce troppo nel suo personaggio con attacchi di fascismo e sogni di integrazione prêt-à-porter. Sono potentissime le scene in cui Checco sogna una società integrata nera, in cui gli uomini e le donne di colore sono in tutto rassomiglianti alla peggiore classe dominante occidentale, straviziata e consumista, tutta turismo, aperitivi e moda.

L’attore e regista Luca Medici, che ha fatto sua un’idea di Paolo Virzì, suo co-sceneggiatore, ha portato la sua maschera e il suo personaggio verso un salto notevole, che lo pone in una linea continua come epigono di Tempo di uccidere di Ennio Flaiano e Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa di Ettore Scola. Cosa ne sarà del suo cozzalone? È difficile dirlo dopo questo suo film.

Zalone incarna l’italiano medio, il cialtrone arricchito, rivestito di marchi e loghi riconoscibili, che ha un solo dio nell’acido ialuronico.

Murgia&Sushi è la sua attività imprenditoriale, con cui rovina parenti, due ex mogli, che ritroveremo alla fine del film al molo della nave dei migranti una con felpa verde salviniana e l’altra con lo striscione “restiamo umani”, e un investitore interpretato da un grande Nicola Di Bari. Si rifugia in Africa dunque per sfuggire al fisco, prima in un villaggio di lusso dove ritrova italiani incattiviti come lui e poi parte dall’Africa, attaccata dall’Isis, in un viaggio all’incontrario insieme ad alcuni compagni.

Il film ha il pregio di raccontare in maniera semplice e divertente la tragedia del viaggio dei migranti, sebbene depurato (le donne non sono violentate in Libia, ma gabbano i loro torturatori col mitra, nessuno muore in acqua). All’uscita tantissimo pubblico rimane scosso e commosso dal naufragio, come se la comicità con il suo “solo gli stronzi restano a galla” riuscisse a comunicare il dramma dei morti in mare più del giornalismo d’inchiesta o delle immagini strazianti. O peggio ancora del piglio neocoloniale di chi dice aiutiamoli in casa loro.

Non manca anche la denuncia proprio ai media, rappresentati dal freelance ricco francese con Suv sul deserto, e alla loro falsa solidarietà da copertina, con la vanità dello scoop. Così come non manca la critica divertita alla politica populista senza popolo di oggi dove un disoccupato, il Gramegna un misto tra Di Maio, Salvini e Conte, può ritrovarsi a scalare tutte le poste del potere o un ex leader come Nichi Vendola, interprete di se stesso, si limita a filosofeggiare, autocitando le impareggiabili imitazioni dello stesso Zalone, mentre è intento ad innaffiare gerani con Chopin per sottofondo.

Zalone porta tutti nel posto di chi emigra e chi fugge e fa riflettere sul fascismo che è come la candida “che esce fuori con il caldo e con lo stress”.

“L’odio di classe aveva lasciato il posto all’odio razziale che andava lasciando spazio ad una forma inedita di risentimento primitivo, inclassificabile, destrutturato e totalizzante. La gente odiava la gente tutto il giorno, tutti i giorni. Tempi di ira, di tremendo rancore”, scrive Paolo Zardi in XXI secolo.

Vanno a segno molti colpi nel film, in particolare quello dei migranti redistribuiti a kilogrammi per l’Europa con ruota della fortuna o il rifiuto di Vibo Valentia quale porto sicuro con soundtrack “I love you just the black you are”. Sarcastica e vincente la battuta rivolta a Dudù “no, non ti integrare, la mia xenofobia me la sono conquistata sul campo”.

Belle le tante immagini del viaggio tra Kenya e Libia fino in mare nel Mediterraneo, accompagnate da classici della canzone italiana come Vagabondo, La Lontananza, L’Arca di Noè e molti altri.

Divertentissimo anche l’arrivo in Italia con l’integrazione radical chic e l’afropizzica. Molti recensori illustri hanno storto il naso per il cartone finale della cicogna strabica, ma invece è forse quel mix la genialata del film, il messaggio più politico tanto che anche il leader di CasaPound Simone Di Stefano su twitter si è scomodato per attaccare Tolo Tolo.

“La bugia stupida della cicogna che ci fa nascere per caso in vari posti del mondo. Ognuno di noi invece è nato in un determinato luogo e appartiene ad un determinato popolo, per infinite SCELTE precise fatte dai suoi genitori, dai suoi nonni e da tutti i suoi avi”, ha scritto.

Più che in dibattito pubblico sembra di stare in un cartone animato, la volgare eloquenza della politica ne è un esempio tutti i giorni con i siparietti social. E Zalone ha cavalcato proprio questa attitudine al cartoon dei giorni nostri per ribadire in modo spensierato e ridicolo i concetti della Dichiarazione universale dei diritti umani e il diritto alla migrazione.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.