Il fenomeno Barbie e le ingiustizie e le pressioni derivate dall’essere donna

by Claudio Botta

Uscito nelle sale italiane giovedì 20 luglio, in appena cinque giorni (il riferimento mentre scriviamo l’articolo, ndr) ha raggiunto l’incredibile traguardo – per il periodo – di 10 milioni 944.526 euro di incasso e di quasi un milione e mezzo di spettatori/spettatrici. Negli Stati Uniti, 214 sono i milioni di dollari registrati al box office nello stesso arco temporale, stracciando la temutissima concorrenza di Hoppenheimer, l’atteso kolossal di Christopher Nolan, del nuovo capitolo di Mission Impossible, sempre con Tom Cruise in gran spolvero, e dell’ultimo Indiana Jones.

 Barbie è diventato un fenomeno di costume ben oltre le più rosee previsioni di Mattel e Warner Bros, e la strategia di lancio del primo vero film con protagonista l’iconica bambola, con foto scattate dal set sapientemente dosate per media e social network e un trailer brillante ed evocativo, si è rivelata vincente. L’hype per la pellicola è cresciuto al punto da andare oltre le firme di statunitense Greta Gerwig, candidata all’Oscar per regia e sceneggiatura per le precedenti opere Lady Bird e Piccole donne, e di Noah Baumbach (cosceneggiatrice), che si sono comunque confermate una garanzia. O la bellezza solare di Margot Robbie,che non poteva non esserne la protagonista per la sua perfezione in ogni dettaglio (su Tik Tok è diventata virale la Barbie Feet Challenge, il tentativo di imitare i piedi arcuati che sono la caratteristica universalmente conosciuta) e la disinvoltura nell’esprimere sfumature emotive variegate e complesse. O la versatilità di Ryan Gosling, che dopo La La Land si produce in una nuova performance in cui mostra di sapere anche cantare e ballare, non solo recitare e bucare lo schermo con personalità e carisma (ed è un Ken sorprendente per i vari registri affrontati: sia quello impacciato iniziale che quello arrogante poi sono stati lodati da addetti ai lavori e pubblico).

La Barbie-mania ha colorato e colora di rosa l’estate, le sale invase da generazioni alla ricerca di ricordi da ripescare e condividere in tempo reale, le grandi catene di abbigliamento, e ovviamente il core business principale della Mattel, la bambola creata da Ruth Handler – ispirata alla Bild Lilli commercializzata in Germania con scarso successo – e che fece la sua primissima apparizione nei negozi il 9 marzo 1959, con un costume da mare zebrato (nel film l’ouverture è un omaggio a quella memorabile di 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick). Ma il contenuto? Ancora più ambizioso: una riflessione sulla complessità della condizione femminile, sul rapporto tra i sessi, su sogni e aspettative da realizzare, limiti e penalizzazioni da superare. Proposto attraverso il contrasto tra mondi coloratissimi e plastificati così simili ma pure così lontani, tra divertimento e riflessione, leggerezza e profondità. La Barbie ‘stereotipo’ è appunto il catalizzatore di ogni attenzione e pregiudizio, un modello via via imposto nei decenni da una società superficiale e patriarcale e non più semplicemente desiderato. Un modello che verrà messo in crisi prima dalle ex bambine che cresciute arrivano ad accanirsi contro quel gioco e quel modello, in nome di una libertà e indipendenza ancora soltanto ideali. Poi dall’immersione nel mondo reale, fuori dalla perfezione di quello della fantasia, con tutti i suoi contrasti, i dubbi, le angosce, l’incapacità di cercare e trovare una propria collocazione e identità, un dialogo. L’impatto con il patriarcato – descritto in maniera caricaturale ma efficace – si rivelerà devastante per entrambi, e produrrà un risveglio nelle coscienze che rappresenta la mission del film, paradossale – ma convincente – se sostenuta dall’oggetto di odio (o semplice, ostentata indifferenza) da parte del femminismo militante. Un messaggio esplicitato in tanti momenti, in particolare in un bellissimo monologo dell’attrice America Ferrara sulle ingiustizie e sulle pressioni derivate dall’essere donna.

Un messaggio che rappresenta il vero, grandissimo successo di Barbie, blockbuster hollywoodiano nella forma, colonna sonora stellare compresa – anticipata dal singolo Dance the night di Dua Lipa e con brani – tra gli altri – di  Billie Eilish, Sam Smith, Karol G, Nicki Minaj e Ice Spice, Lizzo, Charli XCX, Pink Pantheress, Ava Max, Dominic Fike, Khalid, Tame Impala, HAIM, Gayle e Fifty Fifty feat Kali – e 100 milioni investiti nel lancio; ma dal contenuto ricco di ironia, satira, riflessioni spiazzanti (e di fin troppo facile lettura, per i critici): la ricerca di un equilibrio possibile dentro e fuori Barbieland, nelle nostre case, nelle nostre vite, tra donne e uomini non dipendenti affettivamente e materialmente le une dagli altri e viceversa, ma ognuno/a con la propria identità, la propria personalità, la propria volontà e capacità di darsi un valore, la giusta e necessaria importanza. Possibile solo eliminando la tossicità dai rapporti, le ossessioni, i ricatti emotivi, le vendette, le accuse, le rivendicazioni, la rabbia.

Lo

Per questo, lasciano ben sperare quei genitori e quei bambini entrati in sala per assistere a qualcos’altro, più legato a un contesto ludico o nostalgico, e spiazzati al termine della proiezione. Al rientro a casa, hanno avuto e avranno ulteriori elementi di contatto e di confronto, e un ulteriore modo di riempire di colori le loro vite e quelle degli altri.

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