L’Odio il film di Mathieu Kassovitz compie 25 anni ed è più attuale che mai

by Marianna Dell'Aquila

Quando 25 anni fa siamo andati al cinema a vedere L’odio abbiamo avuto la fortuna di assistere alla proiezione di uno dei film più stravolgenti degli ultimi decenni. Scritto e diretto da un giovanissimo Mathieu Kassovitz , il film ha letteralmente anticipato quello di cui, purtroppo, negli ultimi tempi l’attualità ci ha abituati a sentir parlare troppo frequentemente.

Ispirato a due fatti di cronaca reali (gli omicidi di due giovani di origine africana per mano della polizia francese avvenuti uno nel 1986 e l’altro nel 1993), L’odio è ambientato nelle banlieu parigine e racconta l’escalation di violenza che i suoi tre protagonisti vivono nell’arco di appena 19 ore.

Vinz (Vincent Cassel), Hubert (Hubert Koundé) e Said (Said Taghmaoui) sono tre ragazzi dalle personalità diverse, ma che a modo loro cercano di tenersi lontani dai guai. Vivono in una delle banlieu di Parigi che in quel periodo sono attanagliate dagli scontri tra polizia e manifestanti scatenati dopo il pestaggio di un ragazzo, Abdel, ridotto in fin di vita dagli agenti. Vinz, il più irruente tra i tre, riesce a rubare una pistola ad un poliziotto e minaccia continuamente di utilizzarla per vendicare Abdel qualora il ragazzo fosse morto. La situazione precipita quando i tre giovani decidono di andare nel centro di Parigi per recuperare dei soldi. Qui vengono prima fermati prepotentemente da una volante e successivamente minacciati da un gruppo di naziskin da cui riescono a salvarsi grazie alle minacce di Vinz con la pistola in mano. Dopo aver preso in ostaggio uno degli aggressori, i tre ragazzi riescono a scappare, ma Vinz continua a manifestare la sua rabbia con la continua minaccia di uccidere il ragazzo sequestrato. Alla fine però non ha il coraggio di fare nulla e consegna la pistola nelle mani del più tranquillo Hubert. Tornati nel loro quartiere, vengono nuovamente fermati da alcuni poliziotti e uno di loro, mentre si pavoneggia con la pistola in mano, uccide involontariamente Vinz. A quel punto la tensione sale, Said si copre gli occhi mentre Hubert e il poliziotto si puntano le pistole e sparano l’uno contro l’altro.

Vedere L’odio oggi, dopo 25 anni, ci fa capire quanto siamo stati incapaci di cambiare le cose in tutto questo tempo. Il regista Mathieu Kassovitz aveva scelto di chiamare i suoi protagonisti come gli attori che li interpretavano (da sottolineare la bravura di Vincent Cassel che all’epoca era molto giovane e ancora non famoso). Oggi invece noi potremmo dare a quei personaggi i nomi degli uomini o delle donne di cui abbiamo sentito parlare in tutti questi anni fino ai mesi scorsi, come George Floyd, Maurice Gordon – entrambi morti negli Stati Uniti per mano della polizia durante banali controlli –  o moltissimi altri (secondo alcune ricerche fatte dai giornalisti del Washington Post e rese note nel mese di giugno 2020, solo negli Stati Uniti sono state uccise dalla polizia più di settemila persone tra il 2013 e il 2019).

L’Odio ci parla di disagio sociale e mette nel cuore della storia la costante contrapposizione tra “centro” e “periferia” che non sono solo luoghi fisici, ma spazi culturali e sociali ben definiti. Ci parla di distanze sociali e generazionali, di una mancanza di sogni sostituita dalla gratuità della violenza. La scelta di girare in bianco e nero dà prova da un lato dell’assenza di giudizi da parte del regista, ma dall’altro anche della sua voglia di raccontare le cose così come sono, di entrare dentro una storia (Kassovitz interpreta uno dei naziskin) in cui nessuno è completamente vittima né carnefice. Seguiamo il ritmo serrato del racconto e del montaggio in cui il regista non ha remore di mostrare le sue passioni cinematografiche – soprattutto per un certo cinema americano – citandole e restituendole con estrema originalità (ad esempio nella scena in cui Vinz davanti allo specchio imita Robert De Niro in Taxi Driver di Martin Scorsese). Allora torna l’idea della contrapposizione: quella tra un certo cinema di genere e la scelta del bianco e nero, tra cultura Pop e cultura underground (rappresentata soprattutto nella colonna sonora), tra rabbia e rassegnazione, tra la voglia di vivere e la vacuità delle parole.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.