L’ultimo bacio, l’oscuro fascino della tenacia del desiderio

by Paola Manno

“Stiamo insieme da tre anni. Siamo felici. A un certo punto è iniziato a mancarti qualcosa. Ma cosa ha iniziato a mancarti?”. Con questa domanda comincia uno dei film cult dei primi anni 2000, che ha appena compiuto 20 anni: “L’ultimo bacio”.

A pronunciarla è Carlo, grafico trentenne, il protagonista interpretato da Stefano Accorsi. L’incipit è una domanda esplicita che da subito diventa il filo rosso attorno al quale ruota una narrazione collettiva. Accanto alla storia del tradimento di Carlo, in attesa di un figlio dalla compagna Giulia (Giovanna Mezzogiorno), con la deliziosa liceale Francesca, interpretata dalla giovanissima Martina Stella, tutti i protagonisti si pongono la stessa domanda: “Cos’è che mi manca?”.

Se lo domandano gli amici trentenni di Carlo, Adriano (Giorgio Pasotti), sposato con una donna che non ama più e con un figlio appena nato, se lo chiede Paolo (Claudio Santamaria) che non riesce ad affrontare la fine di una storia d’amore e infine Alberto (Marco Cocci), eterno dongiovanni. Ma se lo chiede anche la cinquantenne Anna (Stefania Sandrelli), madre di Giulia, che non si rassegna ad una vita coniugale senza passione.

Tutti i personaggi sono accomunati dalla stessa irrequietezza, dalla stessa insoddisfazione e soprattutto dalla stessa voglia di cercare altro. Le aspirazioni di ognuno, legittime e comprensibili, sembrano però non tener nessun conto dell’altro, di colui o colei che ci vive affianco. La leggerezza con la quale Carlo tradisce la compagna è disarmante così come la scelta dei tre amici di abbandonare famiglia, figli e lavoro e partire su un camper in giro per il mondo. Spaventa l’egoismo di chi vuole a tutti i costi sentirsi appagato come spaventano le urla di chi scopre che l’altro lo ha tradito. Il Mereghetti ha (giustamente) scritto “Se fosse attendibile a livello sociologico, questo ritratto di una generazione di borghesi trentenni immaturi, narcisi, irresponsabili, fragili e isterici, ci sarebbe da piangere”.

Eppure, la tenacia del desiderio ha un oscuro fascino come pure l’attitudine all’esternazione della rabbia, alla ragione urlata a tutti i costi, al dolore esibito, che a 20 anni di distanza dominano seguitissimi reality e trasmissioni tv. 

A me pare che proprio questi, insieme a un cast in formissima, siano stati gli elementi dello straordinario successo del film. Probabilmente Muccino è riuscito a tirar fuori dalla pancia degli italiani dei sentimenti all’epoca ancora poco ostentati ma già profondamente radicati in una cultura che sarebbe esplosa di lì a poco.

Terzo lungometraggio di Gabriele Muccino, che in “Ecco fatto”(1998) e “Come te nessuno mai” (1999)  portò sul grande schermo i dubbi esistenziali di adolescenti passionali, “L’ultimo bacio” è il primo grande successo del regista. Uscito in 90 copie, fu da subito necessario aumentarle a 250. C’erano lunghe file davanti ai cinema, la gente ne discuteva, i giornali ne scrissero per settimane, dalle prime proiezioni divenne il film del momento. La pellicola rimase nelle sale per più di 6 mesi e incassò quasi 14 milioni di euro, vinse inoltre 3 Nastri d’Argento: attrice non protagonista (Sandrelli), montaggio (Claudio Di Mauro), canzone (Carmen Consoli),  5 David di Donatello e il Premio del pubblico al Sundance Film Festival. Dopo il successo italiano, il film uscì anche in Francia e in Spagna e ne venne addirittura fatto un remake americano: The Last Kiss, con Zach Braff. 

Il film consacrò Muccino come uno dei protagonisti della scena cinematografica italiana e spalancò al regista le porte del cinema hollywoodiano. Negli USA girò “La ricerca della felicità” (2006) e “Sette anime” (2008), entrambi con protagonista Will Smith, distribuiti in tutto il mondo. Oltreoceano Muccino girò anche “Padri e Figlie” (2015), con Russell Crowe, flop di critica e pubblico che chiuse definitivamente le porte delle produzioni americane al regista, rientrato in Italia a girare i suoi ultimi film (“A casa tutto bene”, 2018 e “Gli anni più belli”, 2020)

Criticatissimo negli ultimi mesi per lo scivolone con lo spot “Terra mia”, con Raoul Bova, pensato per promuovere il turismo in Calabria, Muccino resta comunque coerente al suo stile artistico. Insomma, continua a raccontare una società piena di cliché che però oggi pare facciano più male che bene. Il mondo dei trentenni raccontato in “L’ultimo bacio” , oggi, molto più che 20 anni fa, mi sembra davvero uno stereotipo insopportabile.

Oggi che ancora di più si sente l’esigenza di un racconto più articolato, di un visione più sincera, più completa: dove sono gli uomini responsabili, perché ci devono pur essere da qualche parte. E soprattutto: dove sono le donne? Davvero sono tutte isteriche e insoddisfatte e insopportabili come quelle del film? Forse nel 2001 quelle urla hanno squarciato un velo, come a dire un necessario “esisto”, e forse necessitavano di una forza prorompente per venir fuori, ma oggi quella narrazione ha perso, mi pare, ogni interesse. Oggi che il pubblico chiede storie più vere, più profonde, più vicine agli esseri sfaccettati che sono l’uomo e la donna. 

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