L’uomo che vendette la sua pelle, il film di Kaouther Ben Hania sul rifugiato divenuto opera d’arte

by Marianna Dell'Aquila

Candidato agli Oscar 2021 come Miglior Film Internazionale e presentato alla 77° Mostra del Cinema di Venezia, dove ha ottenuto il premio Orizzonti per la Miglior Interpretazione Maschile e il premio per l’inclusione Edipo Re, esce nelle sale il 7 ottobre L’uomo che vendette la sua pelle, film drammatico di Kaouther Ben Hania. La regista tunisina, classe 1977, porta sul grande schermo una storia coraggiosa che intreccia il mondo dell’arte contemporanea con quello dei rifugiati politici ponendo al centro di tutta la narrazione il tema della libertà.

L’uomo che vendette la sua pelle narra infatti il dramma del giovane siriano Sam Ali (Yahya Mahani), un ragazzo impulsivo e innamorato della bellissima Ameer (Dea Liane). In Siria c’è la guerra e Bashar-al Assad è il presidente del Paese. Sam viene incarcerato a causa di una frase sulla libertà e sulla rivoluzione detta davanti ad altre persone mentre si trova su un autobus pubblico. Il ragazzo riesce però a scappare con la complicità di una guardia carceraria e a rifugiarsi a Beirut, in Libano. Qui conosce Jeffrey Godefroi (Koen De Bouw) e la sua scaltra assistente Soraya (Monica Bellucci). Jeffrey non è affatto un artista tormentato e solitario, ma un vero e proprio “imprenditore creativo” (come lo ha definito la regista) che intuisce immediatamente di poter trasformare Sam (e ciò che egli rappresenta in quanto rifugiato politico) in un’opera d’arte, una merce umana da esporre nei musei di tutto il mondo. Con la promessa di farlo arrivare in Belgio per ritrovare la sua amata Abeer (che ne frattempo ha sposato un connazionale e vive a Bruxelles), Jeffrey riesce a trasformare Sam in un’opera d’arte itinerante: tatua sulla pelle della sua schiena il codice Visa, il visto internazionale necessario a tutti i cittadini non europei che vogliano entrare nel nostro continente. Sam accetta, ma presto capisce di essersi illuso: non ha venduto a Jeffrey solo la sua pelle, ma anche la sua libertà. Paradossalmente è proprio grazie all’aiuto dell’artista che lo ha trasformato in una merce da vendere e da esibire, che Sam riesce a distruggere la sua identità di rifugiato-operad’arte e a tornare in Siria con l’amata Abeer.

L’idea de L’uomo che vendette la sua pelle è nata da un fatto realmente accaduto: tra il 2006 e il 2008 è stata esposta al Louvre l’opera vivente di Wim Delvoy intitolata Tim. Delvoy aveva tatuato sulla schiena di Tim Steiner una Madonna sormontata da un teschio in stile messicano, circondata da raggi, uccelli, pesci e fiori colorati. Steriner però non era proprietario del tatuaggio, ma lo aveva venduto a Rik Reinking, un collezionista tedesco e organizzatore di mostre, che avrebbe potuto decidere ogni volta come e dove esporre l’opera. Al centro dell’accordo una clausola dalle intenzioni un po’ macabre: alla morte di Steiner il pezzo di pelle tatuato sarebbe stato rimosso dal suo corpo e incorniciato. “Da quando ho visto l’immagine di Steiner, singolare e trasgressiva, non mi ha abbandonata – ha spiegato la regista tunisina -. A poco a poco altri elementi della mia esperienza, l’attualità bruciante e gli incontri imprevisti si sono aggiunti e hanno arricchito questa immagine. Un giorno, nel 2014, mentre stavo per scrivere l’ennesima versione di Beauty and the Dogs (2017, premiato nella sezione “Un certain reguard” al Festival di Cannes), mi sono ritrovata a scrivere per cinque giorni senza sosta la storia de L’uomo che vendette la sua pelle”.

Il film di Kaouther Ben Hania mescola generi differenti, dal dramma al comico con guizzi di romanticismo e di satira insieme. “Fare un film è una serie di variazioni emotive che condividiamo con il pubblico – ha detto la regista -. La variazione del tema deriva principalmente dal percorso emotivo del personaggio principale. Lo stato psicologico del protagonista determina ogni scena. Sam è innamorato, da qui il romanticismo, viene colpito da un dramma e si ritrova in un modo paradossale che è la satira, risponde e si difende con un segno dell’ironia da cui deriva il black humor”.

L’uomo che vendette la sua pelle è un film che parla anche del mondo dell’arte contemporanea e della società che ruota intorno ad essa e lo fa non solo attraverso la storia, ma anche con le immagini e la fotografia. “Per scrivere questo film mi sono immersa nella storia dell’arte e soprattutto nella rappresentazione del corpo umano nella pittura – ha detto ancora Kaouther Ben Hania -. Ho raccolto una enorme quantità di immagini, di foto e dipinti per alimentare l’universo visivo del film. Ho anche realizzato lo storyboard della maggior parte delle scene in base ai set selezionati”.

L’uomo che vendette la sua pelle non lascia dubbi sul finale della storia, ma fa in modo che restino aperte molte domande su temi come la libertà, la percezione che l’uomo occidentale ha di ciò che accade lontano da lui, i conflitti in Medioriente. Soprattutto ci si domanda: Sam è davvero libero? Oppure la sua libertà è ancora alla mercé delle azioni delle azioni di Jeffrey?

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