L’uomo del labirinto: Toni Servillo e Dustin Hoffman danno corpo alle più grandi fobie di Donato Carrisi

by Marianna Dell'Aquila

L’animale più difficile da cacciare è l’uomo. E’ una delle battute chiave del film di Donato Carrisi, L’uomo del labirinto. Nato dal suo omonimo romanzo che per sua stessa ammissione è quello di cui “conservava ancora vive le immagini nella mente”, il regista e scrittore pugliese ha scelto due attori di grande spessore per impersonare i protagonisti dell’opera, Toni Servillo nei panni dell’improvvisato detective Genko, e Dustin Hoffoman nei panni del misterioso Dott. Green.

La storia incomincia con il ritrovamento di Samantha Andretti, una ragazza rapita quindici anni prima sul tragitto tra casa e scuola e rinchiusa in un enorme e buio labirinto senza uscita. Quando Samantha viene ritrovata, a Genko resta poco tempo per vivere a causa di una grave infezione al cuore, ma la comparsa della ragazza riaccende in lui la speranza di trovare almeno l’uomo che anni prima l’aveva rapita. La ricerca però si rivela sin da subito più complessa di quanto si pensasse, perché nessuno conosce il volto dell’uomo. L’uomo del labirinto indossa sempre una grande testa di coniglio con due grandi occhi a forma di cuore. Intanto in ospedale, Samantha è affiancata dal dott. Green che sembra voglia aiutarla a recuperare la memoria. La storia di Genko e quella del Dott. Green si muovono parallele, senza incontrarsi mai se non alla fine, quando tra i due ci sarà un piccolo scambio di battute che lasceranno gli spettatori dinanzi ad un finale aperto.

Il labirinto in cui è rinchiusa Samantha e da cui la ragazza tenta di scappare è lo stesso labirinto di voci e individui in cui si muove Genko tentando di trovare chi l’ha rapita, ma è soprattutto la metafora del nostro inconscio, delle nostre paure più profonde.

Ho messo in gioco le mie paure più profonde, quella per la claustrofobia del labirinto e quella del buio, ma anche del coniglio come essere spaventoso perché è riferito a due personaggi che mi hanno fatto paura nella mia infanzia: il coniglio di Alice nel paese delle meraviglie e Harvey (dall’omonimo film di Henry Koster degli anni ’50)” ha ammesso Donato Carrisi durante la presentazione del film.

Fobie che potrebbero appartenere a chiunque di noi, come quella per i luoghi chiusi e sotterranei che il regista più volte ripropone, come nel caso dello scantinato di una vecchia catapecchia o l’angusto dormitorio di un sacerdote.

E’ una storia senza città, senza tempo – ha continuato il regista – Tutto è ambientato nel nostro cervello. Infatti si ha la sensazione che tutto si sia creato nella nostra mente e che tutto si ricomponga nella nostra testa”.

Interessanti quindi alcune scelte di regia che, se da un lato rendono chiaramente omaggio al cinema e alla letteratura (forse anche al fumetto) con cui Carrisi è cresciuto, dall’altro fanno emergere la volontà del regista di sottolineare con luci, musiche e velocità di montaggio differenti universi narrativi che si intersecano nel film. Ogni personaggio è un universo che ha un suo colore, una sua luce e una sua musica. L’ambientazione in cui vediamo Green e Samantha ad esempio è quella statica e quasi monocromatica di una stanza di ospedale, invece Genko si muove in una moltitudine di ambientazioni in cui parole e personaggi  formano un vero e proprio mosaico di universi differenti.

Toni Servillo e Dustin Hoffman (ritornato ad interpretare un ruolo da protagonista) sono le due colonne portanti del film: potrebbero anche non parlare, basterebbe osservare per un attimo il loro sguardo e riuscirebbero perfettamente nel loro intento di attori.

Per un attore della mia generazione, recitare con Dustin Hoffman è stato un regalo. Per questo non sono mai riuscito a chiamarlo Dustin, ma solo Mister Hoffman” ha raccontato Servillo, spiegando cosa abbia significato per lui lavorare con un mito del cinema mondiale.

Tuttavia, al di là delle personali considerazioni che ognuno di noi può farsi di questo film, capiamo benissimo le ragioni del regista quando ammette di averlo convinto a recitare nella sua ultima opera dicendogli che nel cast c’era anche Toni Servillo. Siamo sicuri che il nostro non è solo un po’ di puro e sano campanilismo.

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