M. Il Mostro di Düsseldorf: una città è alla ricerca di un assassino, il film più iconico di Fritz Lang

by Giuseppe Procino

La traduzione italiana del titolo per M – Eine Stadt sucht einen Mörder, letteralmente ‘Una città è alla ricerca di un assassino’, ha condannato per sempre Düsseldorf a rimando cinematografico inquieto e macabro. Eppure in realtà, il capolavoro di Fritz Lang, con Düsseldorf, condivide solo l’ispirazione del personaggio su cui Thea von Harbou e lo stesso Fritz Lang hanno disegnato lo spaventoso profilo del protagonista.  Il soggetto della pellicola, infatti, prende spunto dalle vicende di Peter Kürten, per l’appunto il ‘vampiro di Düsseldorf’, ma poi sposta l’intera vicenda a Berlino.

M è il film più iconografico di Lang, l’opera che più di tutte si accompagna a immagini ormai scolpite nella memoria collettiva. Pensiamo alla locandina, quella ‘M’ disegnata su una mano con un carattere dichiaratamente espressionista, oppure alla prima comparsa di Hans Beckert (un superlativo Peter Lorre nella sua interpretazione più celebre).

Sono immagini imponenti e impressionanti, che identificano il film del 1933 e ne tracciano alla perfezione la natura oscura. In M convergono diversi temi e domande, che pongono lo spettatore di fronte a una confusione emotiva travolgente, imbastendo così un’opera che parte dalla natura di cinema d’intrattenimento ma che si evolve in satira sociale (rappresentative le sequenze in cui sono mostrate le forze della polizia in atteggiamenti lascivi) e finisce per mostrare l’ambivalenza degli entusiasmi popolari e l’ingiustizia umana della pena capitale.

Tutto questo due anni prima della presa del potere da parte del partito Nazionalsocialista, anticipando la crudele parabola del male che vedrà proprio il partito guidato da Adolf Hitler, ideatore dello sterminio programmato degli Ebrei, non fare alcuna distinzione tra adulti e bambini. Eppure l’idea di un pedofilo assassino sul grande schermo era un’idea terrificante, che non poteva lasciare indifferenti.

Lang parte dal thriller, un orrore che irrompe nella vita quotidiana, intaccando la normalità e instaurando il sospetto e l’ombra del dubbio e si sposta verso il noir, senza che questo genere fosse stato ancora inventato. Polizia, criminali e mendicanti uniti per dare la caccia al mostro in una confusione sociale che vede capovolgersi il sistema di certezze per il cittadino e poi, nella parte finale, nuovamente rimescolare tutte le carte sul tavolo.

È una confusione in grado di generare riflessioni che sopravvivono a distanza di ottantanove anni, sintomo dell’enorme capacità precognitiva di un maestro che è stato in grado di osservare con inarrivabile intelligenza il mondo che attorno a lui stava cambiando. Un assassino di bambine, era la prima volta che il cinema affrontava un tema così inquietante: il male che incontra l’innocenza e la distrugge senza una comprensibile motivazione, ma anche il male che diventa contagioso ed è pronto a invertire i ruoli tra vittima e carnefice. È giusto ammazzare chi non è capace di intendere e di volere?

Fritz Lang concepisce così il suo primo capolavoro sonoro: un impianto scenico ricco di riferimenti, rimandi e simbologie in cui nulla è lasciato al caso. Il suono, questo nuovo elemento con cui, da qualche anno, il cinema era quasi obbligato a confrontarsi per non sopperire alle leggi del mercato, rappresenta per il regista tedesco una nuova opportunità per sperimentare e giocare con lo spettatore.

Lui, l’uomo che aveva di fatto inventato la fantascienza, rimaneggiando l’idea espressionista di suscitare emozioni forti e mantenendo di quella avanguardia un gusto ‘espressivo’ per la luce e le ombre, rifiuta l’idea del suono come semplice aggiunta alle immagini. Al contrario, il suono doveva concorrere alla riuscita del film esattamente come tutte le altre parti. Il sonoro per Lang diviene così territorio delle potenzialità, capace di interagire con il montaggio, fino ad essere elemento fondamentale anche in assenza di dialoghi. In M, il suono anticipa le azioni ed è fatto di rumori, passi, voci che riecheggiano. 

Tutto è finalizzato all’inquietudine, come quando una filastrocca anticipa le immagini, o che a raccontare la storia sia lasciato il solo  rimbalzo di un pallone, oppure ancora quando a parlare è un’ombra.  Ma il suono è anche l’elemento che permette l’evoluzione della trama. Sarà infatti proprio il motivetto che il terrificante Peter Lorre fischietta mentre compra un palloncino per una delle sue vittime ad incastrarlo. 

Suono, immagini ma soprattutto montaggio: una costruzione organica che diviene comprensibile soprattutto vedendo la pellicola in lingua originale, nella variazione determinante dei volumi, nella cura con cui Lang lascia che anche i silenzi abbiano qualcosa da dire così come già avevano fatto da sole in passato luci e ombre.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.