Mostra di Venezia sotto tono? Forse, ma forse no

by Tommaso Campagna

Mio nonno mi diceva sempre che l’uomo che fa molto, sbaglia molto; quello che fa poco sbaglia poco; solo chi non fa niente, non sbaglia mai. Aggiungendo però che un uomo così non è un uomo e che il fallimento è la più importante opportunità di crescita individuale e collettiva. In tempo di Covid-19 sarebbe stato più che giustificato saltare un anno. La Mostra è stata sospesa per ragioni meno rilevanti di un’emergenza sanitaria senza precedenti.

A parte le edizioni del 1943, 1944 e 1945 sospese per ragioni belliche, nel post-sessantotto, dopo la stagione passatista di Rondi, ci furono le agitazioni che condussero alla ‘soppressione’ della Mostra nell’arco temporale 1969-1978. E, quindi, la rinascita con l’edizione 1979 di Carlo Lizzani. Questo spiega perché, pur essendo il festival di cinema più antico del mondo (data di nascita 1932), siamo giunti ‘soltanto’ alla 77^ edizione.

Benissimo ha fatto il Direttore Barbera ad insistere. La Mostra acquisisce, pertanto, un alto valore simbolico che ne decreta il successo, qualunque fosse stato poi il livello qualitativo dei film in concorso nelle due sezioni principali (Venezia 77 e Orizzonti). Sono certo mancate le mega produzioni hollywoodiane (sono sbarcati al Lido solo i film indies targati stars&stripes) ma non quelle del resto del Mondo con produzioni molto interessanti provenienti da Azerbaigian, Messico, Australia, Cina, Giappone, India, Filippine e, ovviamente, i Paesi europei.

L’accesso alle sale per gli accreditati è stato molto diverso dagli altri anni. Occorreva prenotare il proprio posto a sedere con 72 ore di anticipo rispetto all’ora prevista di programmazione. Non c’è stato più l’assalto alla diligenza degli altri anni e si sono ridotte, di molto, le file ai varchi di ingresso. Gli spettatori più diligenti hanno cercato di prenotare sempre lo stesso posto a sedere al fine di facilitare poi l’individuazione e il controllo di eventuali focolai di contagio grazie anche all’app scaricata di Immuni. Servizi igienici continuamente sanificati e mascherina indossata in tutte le aree, anche esterne, delle numerose sale (oltre alle tradizionali Sala Grande, Biennale, Giardino, Casinò, Darsena, Pasinetti, Perla, Volpi si sono aggiunte anche due sale Astra, uno spazio en plein air chiamato arena e la ormai celebre sala web che ha consentito a tanti spettatori di godere del festival senza muoversi da casa). Certo è venuto meno tutto il glamour della Mostra, con quel muro eretto a difesa del red carpet. Ma poco male, visto che non vedere ragazzi e ragazze sbattuti sotto il sole (o, peggio, sotto la pioggia) tutto il giorno per poter toccare con mano le star non mi è dispiaciuto (e non sono il solo a pensare che i giovani dovrebbero impiegare meglio il loro tempo, anche se a loro appare infinito, beata gioventù!).

Vedere cinque/sei film al giorno per dieci giorni, alzarsi presto al mattino e partire con la prima visione alle 8,30 per uscire in tarda serata, è una delle cose più affascinanti per tutti coloro che amano il Cinema. Viaggiare nelle vite di innumerevoli personaggi, nei paesaggi, nelle luci e nelle tenebre della Storia è ciò che ammalia ogni cinefilo. Il racconto per immagini costituisce una delle espressioni più alte dell’intelligenza umana e può essere a volte talmente incisivo da cambiare le persone e i loro orizzonti. Non è un caso che chi manifesta un pensiero limitato, spesso sedendo anche negli scranni parlamentari ove si decide il destino di un popolo e di un Paese, non ama il cinema (e la letteratura, la musica, l’arte…).

Ma ora veniamo ai film. Proviamo, come gli altri anni, ad azzardare una previsione sui vincitori. Negli anni passati il gioco fu più semplice. Personalmente ho centrato gli ultimi leoni d’oro (“La forma dell’acqua” nel 2017, “Roma” nel 2018 e “Joker” nel 2019). Quest’anno non riesco ad intravedere un sicuro vincitore e credo che la giuria, coordinata dalla splendida attrice australiana Cate Blanchett (Matt Dillon, Veronika Franz, Joanna Hogg, Nicola Lagioia, Christian Petzold, Ludivine Segnier, gli altri giurati) avrà non poche difficoltà ad operare una scelta univoca (le regole della premiazione impongono un verdetto unanime anche se, come sappiamo, sono stati, spesso, anche molto accesi gli scontri tra i giurati).

I film che hanno buone chanches sono senz’altro “Miss Marx” di Susanna Nicchiarelli che ci aveva già ammaliato nel 2017 con il biopic sulla rockstar della beat generation Nico, “Notturno” di Gianfranco Rosi sulla vita di confine nei territori siriani, iracheni e iraniani, i due indies americani “The world to come” di Mona Fastvold (di profonda maestria tecnica e con due interpreti superbe come Katherine Waterston e Vanessa Kirby alle quali potrebbe andare anche la Coppa Volpi in ex aequo) e Nomadland di Chloé Zhao. Oltre alla Nicchiarelli e a Rosi vi erano altri due italiani in concorso, Emma Dante con il suo inno alla ‘sorellanza’ delle Macaluso (pièce teatrale di successo, ora divenuto un soggetto cinematografico) e l’omaggio di Noce alla memoria del padre vice-questore negli anni di piombo (“PADRENOSTRO”). Alla Dante contestiamo un commento sonoro troppo scontato con l’ennesima riproposizione delle Gymnopédies di Erik Satie (che ci fa rammentare anche il ricorso, per l’ennesima volta, al valzer n.2 tratto dalla Suite per orchestra di varietà di Shostakovich della Ann Hui, Leone d’oro alla carriera unitamente alla Tilda Swinton, interprete magnifica di un corto cocteauiano di Almodovar). Al film di Noce il sapore un po’ troppo accentuato di fiction televisiva. Probabilmente, il film italiano più interessante visto al Lido è quello di Castellitto, I predatori, nella sezione Orizzonti. Sguardo originale sul nostro Paese, ma sotto la lente amplificante della commedia (scelta anche per ragioni commerciali, ahinoi!). Ottimi film, della Sezione principale, anche quello di Konchalovsky, “Cari compagni”, dedicato ai sentimenti di nostalgia staliniana dei russi nell’era Kruscev, “I figli del sole”(Korshid) di Majid Majidi sulla gioventù iraniana ai margini della società che trova nella scuola la sua unica ancora di salvezza, il canadese “Pieces of woman” di Kornèi Mundruczò (qui, al contrario, è splendida la musica con la scelta di un magnifico brano dei Sigur Ros nel momento che precede la sequenza più drammatica del film) e il film messicano “Nuevo Orden” in cui si immagina cosa potrebbe succedere se le diseguaglianze sociali dovessero divenire insostenibili, con un finale che sarebbe piaciuto al Conte di Celona, Tomasi di Lampedusa.

E allora prendendoci tutti i rischi di un fallimento, memore del detto di mio nonno con il quale ho aperto questo articolo, e scrivo, con convinzione, che il film che pronostico come vincitore della Mostra è un’opera che riapre una ferita ancora non rimarginata nel corpo delle nazioni europee e delle Nazioni Unite: “Quo Vadis, Aida?” di Jasmila Žbanić già vincitrice dell’Orso d’oro a Berlino nel 2006 con “il segreto di Esma”. 

La strage di Srebrenica nel luglio del 1995 è una delle pagine più dolorose della storia europea e mondiale degli ultimi 30 anni. Film classico che regala emozioni autentiche a tutti gli spettatori e che merita di essere visto anche dalle nuove generazioni, perché quanto è rappresentato crudelmente nel film è successo realmente e a pochi chilometri da noi. La visione dei carnefici che prendono possesso anche delle case e delle vite delle loro vittime, nonché la assoluta incapacità dell’ONU di difendere i diritti delle popolazioni inermi bosniache è un macigno ancora troppo grosso sulle nostre coscienze e bene ha fatto la regista di Sarajevo a ritornare a riflettere su questi argomenti. Diciamo Coppa Volpi anche all’interprete principale del film, una magnifica Jasna Duricic.

Sul film più brutto non ho esitazioni, è “Between we dying” dell’azero Baydarov. Un film centrato sull’inutile questione del perché viviamo alla quale si dà la più banale delle risposte: per amare.

Della sezione Orizzonti ci sono piaciuti “The man who sold his skin” di Kaouther Ben Hania (ricordate il Modigliani sulla schiena di Jean Gabin in un film francese di Denys de La Patellière, “Le tatoué” del 1968 con Louis de Funes? qui venato anche di riflessioni sull’immigrazione dell’umanità da Paesi antidemocratici), “Guerra e Pace” della coppia Parenti/D’Anolfi (splendide le riprese nella scuola per l’analisi delle immagini della Legione Straniera) e il toccante “Nowhere Special” di Uberto Pasolini con un James Norton che merita senz’altro il premio Orizzonti per la migliore interpretazione maschile.

In definitiva, ancora un’ottima edizione della Mostra e un sincero ringraziamento a tutti coloro che l’hanno resa possibile.

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