Night in paradise, il gangster movie intenso e godibile di Park Hoon-jung è un dramma rarefatto

by Nicola Signorile

Una meravigliosa isola e due anime alla deriva. Una lunga scia di sangue e quel feroce determinismo che fa inserire Night in paradise di Park Hoon-jung nella gloriosa tradizione del cinema noir sudcoreano. In particolare, del revenge movie, il film di vendetta, consacrato dalla trilogia del connazionale Park Chan-wook nella prima metà dei Duemila. Non un pane per tutti i denti con i suoi profluvi di sangue e quell’aura di pessimismo cosmico che circonda il genere. Night in paradise, presentato Fuori concorso alla 77a Mostra di Venezia, non trova la via della sala per ovvie ragioni e approda direttamente nel catalogo Netflix ad aprile 2021, discostandosi non poco dalle recenti visioni (per lo più adolescenziali o giù di lì) proposte dal colosso di Los Gatos.

La scia di sangue, quindi. Che comincia dall’uccisione della sorella e della nipotina del protagonista Tae-Gu (interpretato dall’omonimo Eom Tae-gu), un giovane e implacabile gangster. Il boss di poche parole sceglie di non stare al gioco come gli chiede il suo capo e di vendicarsi brutalmente attaccando il boss nemico e i suoi sgherri in una sauna pubblica (Takeshi Kitano docet).

È l’innesco di un ferale meccanismo di vendette e tradimenti, doppiogiochismi e cacce all’uomo, conditi da copiose dosi di sangue versate. Fin qui, tutto nella norma del filone gangster. Nel paradiso del titolo, la maestosa isola di Jeju, Tae-Gu trova un riparo da dove poi partire per la Russia, ospite di un anziano trafficante d’armi, Kuto, e di sua nipote Jay-Yeon (Yeo-bin Jeon), alla quale restano pochi mesi da vivere.

Quella che dovrebbe essere solo una breve sosta nella fuga del giovane fa virare decisamente il film verso il dramma rarefatto, soprattutto grazie alla bellezza delle immagini e alla colonna sonora. Night in paradise rallenta, si fa contemplativo, costruendo con delicato lirismo un legame tra i due giovani che, dopo le iniziali diffidenze, evolve per silenzi e sfioramenti senza mai sfociare in un classico affaire amoroso. Tae-Gu e Jay-Yeon, figure solitarie e disperate, vicine al punto di non ritorno delle rispettive esistenze, trovano una affinità non banale nei brevi istanti di calma concessi dalla maestosa isola.

Tra tramonti mozzafiato e paesaggi suggestivi, il tempo sembra fermarsi, la natura si prende la scena, rubandola per un attimo ai destini infami dei nostri protagonisti senza futuro. Le scelte di fotografia sottolineano il passaggio, dopo una prima parte urbana, anche se l’opera resta un noir dalle atmosfere sordide in cui la luce del sole (e la speranza) si intravedono appena. E che trascina lo spettatore in un susseguirsi di accelerazioni, improvvise impennate di violenza e rallentamenti necessari a tirare il fiato, in un’altalena di emozioni che si regge su un equilibrio precario, che talvolta sfugge di mano a Park Hoon-jung.

Non è in alcun modo possibile sfuggire al proprio destino per il cineasta sudcoreano, autore noto grazie a The Tiger e al thriller New World, e alle sceneggiature di The Unjust e I Saw the Devil, tutti titoli simbolo di una poetica poco incline all’happy end e alla catarsi. La tregua dura poco.

La caccia all’uomo approda sull’isola, che non tarda a trasformarsi in un inferno per il taciturno Tae-Gu, determinato prima di soccombere a vendere cara la pelle. Il sangue scorre a fiumi nelle potenti scene d’azione e di combattimento di Night in paradise, dall’irruzione di Tae-Gu nella sauna pubblica all’intera sequenza in aeroporto, tra spaventosi corpo a corpo nell’abitacolo di un’auto a inseguimenti degni di Christopher Nolan. Impeccabile costruzione della tensione, movimenti coreografati alla perfezione, montaggio ipercinetico.

Fino al brutale rendezvous in un magazzino tra i protagonisti e i loro inseguitori, il vile capo di Tae-Gu, Yang (Park Ho-san) e Ma (Cha Seung-won), arrogante boss della gang rivale in cerca di vendetta, un antagonista che ci tiene all’etichetta criminale e rimpiange gli “uomini d’onore” di una volta che forse avrebbe meritato più spazio all’interno della narrazione. Park Hoon-jung qui sembra smarrire la misura: il torture porn è dietro l’angolo e la violenza esibita gratuitamente mette a dura prova la visione.

Provando a non svelare troppo della trama, arriviamo a un epilogo violento che strizza l’occhio a Tarantino e Park Chan-wook, in cui la verosimiglianza non è certo tra le priorità dell’autore.

Con i suoi limiti (un certo abuso della violenza, dialoghi laconici e una sensazione di déjà vu per gli appassionati del crime asiatico), Night in paradise è un gangster movie intenso, godibile, che si fa notare per la forza delle scelte estetiche e stilistiche, pur restando nell’ambito dei cliché del genere, per le efficaci scene d’azione e, per contrasto, per la delicatezza con cui tratteggia le emozioni dei due ottimi protagonisti alle prese con una relazione non banale.

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