Pieces of a Woman su Netflix con Vanessa Kirby: il dolore glabro, in realtà aumentata e melodramma, di una madre

by Giammarco Di Biase

E’ difficile parlare di Pieces of a Woman.

Difficile perché l’ultima prova di Netflix non si definisce in un unicum di toni e elabora temi differenti che frenano la grandezza di un’opera che poteva essere molto di più, Pieces of a Woman è uno spettacolo impreciso.

L’ultimo film di Kornél Mundruczò scritto a quattro mani con la sua compagna Kata Wéber è un film imperfetto. Imperfetto proprio perché forse ha in auge quella sorta di insofferenza di un film-verità, dovuto alla vera esperienza di sceneggiatrice e regista che flirtano continuamente in un gioco tra finzione e realtà non sempre del tutto riuscito. Non è un caso quel piano sequenza del parto ricreato realmente e senza l’uso di mash-up digitali.

Pieces of a Woman è interpretato dall’attrice vincitrice della Coppa Volpi Vanessa Kirby per la miglior interpretazione femminile alla scorsa Mostra del cinema di Venezia e dallo Shia LaBeouf ormai cresciuto e maturato di Transformers che da tanto ha catturato ruoli ben precisi nel cinema d’autore e che si è, anche se non del tutto, eclissato dalla monocultura tematica e mainstream di film d’azione già dimenticati dalla storia del blockbuster. L’opera ottava del regista ungherese dopo White God e Una luna chiamata Europa è la storia di una madre in attesa della sua dolce bambina, che ha come compagno un operaio di una ditta che costruisce ponti nel Massachesetts.

Il giorno della nascita, sperando in un travaglio sereno e optando per un parto in casa che potesse far naturalmente decidere al bambino di poter nascere senza procedure ospedaliere, si trovano catapultati in un dolore più grande, quello di un lutto inaspettato e della morte della neonata. L’esigenza di salvarsi e di redimersi davanti alla tragica verità finisce per diventare così l’accusa diretta contro l’ostetrica presentatasi quella sera, che non era l’ostetrica che avrebbe dovuto affrontare inizialmente il parto: un cambiamento all’inizio approvato per poi essere perpetrato legalmente e moralmente sia in ambito professionale che umano.

Sono queste le basi e le premesse di Pieces of a Woman, un film che mostra subito il suo codice di melodramma, senza mettere in sordina la conclusione di un’esperienza così importante che doveva sancire una nascita e che invece si chiude nel lutto, preclusa tra stanze di una casa che sta aspettando l’inverno.

Non è un colpo di scena la morte della bambina, sembra dirci la scrittura, e non lo è neanche il dramma che succede dopo, che riesce però perfettamente a essere un thriller della coscienza senza cadere su piani di genere oculati e furbi che strumentalizzano il dolore per un piacevole intrattenimento.

Racconta, come già detto e abbozzato sopra, non solo i residui, i pezzi da ricostruire di una bambina venuta al mondo solo per qualche attimo, la sua coscienza piccola di “essere” ridotto alla tragedia, naturalmente programmato per sopperire come fosse un oggetto e la sua caduta sorda fuori dal mondo, ma anche la sostanza cancerogena che si infiltra nei rapporti intimi fin a quel momento liberi dal dolore e quindi abitati da serenità.

Pieces of a Woman inizia con due scene distinte, per poi prepararci all’esperienza del travaglio e del parto in un piano sequenza di quasi venti minuti che rompe con il concetto di finzione frammentaria per aprirsi ad una finzione di realtà aumentata, ci imbatte in un reportage di verità intime e ansiogene, pur sempre curate e sottese ad un lavoro artigianale e artistico per stemperare l’esperienza privata e intima della sceneggiatrice e del regista.

Ci trasporta subito nel processo di rottura della coppia e meccanizza con il dolore con un cinema che ci ricorda quello di Douglas Sirk. I toni caldi delle case medio borghesi e alto-borghesi spennellate d’autunno, di giallo, tra villette a schiera eleganti e librerie con manuali a scelta di settore che interpretano i germogli di una mela, come un’essenza calda e rassicurante di una bambina che ha vissuto poco e il suo odore portato alla putrefazione. Sono tante le metafore di Pieces of a Woman. La mela stessa, stesso odore e stessa convergenza esistenziale con il lutto e una presunta rinascita dopo aver accusato il duro colpo, quei germogli che diventano semi per la crescita di un nuovo albero. Un pallone sgonfiato da una cicca di sigaretta come un parto neutralizzato dalla mancata vita, i colli che palpitano durante un processo per l’accusa dell’ostetrica come fossero imprigionati prima di vivere in un rumore che è pulsazione amniotica.

Pieces of a woman non è un film perfetto. E forse la sua bellezza vive proprio di questa certezza.

Non lo è perché nel suo narrare una storia approfitta di più toni che non interagiscono mai tra loro formidabilmente, quello Sirkiano del melodramma che attutisce la nascita e la caduta delle lacrime, (quel melodramma asciutto a cui si sta cimentando nelle sue ultime opere bellissime Pedro Almodovar) e quello di una regia invece che non solo vuol essere nella scena di parto tecnicamente una pillola di realtà somministrata alla finzione o viceversa, ma anche un lungo complesso di rotture, quelle che ci ricordano i volti e la tridimensionalità drammaturgica di John Cassavetes, quei pieces del titolo di una donna rotta dal dolore.

Un dolore che accusa dentro due modi e esempi del narrare una certa incoerenza del filmare, perché pur non essendo “raccontato” annacquandolo di lacrime e di piagnucolii, mantenendosi sempre glabro e raffinato, a volte scatta prepotentemente in un’idea dell’immagine, dell’interpretazione e dell’utilizzo della tecnica che rompe continuamente con i due stili che si ostinano sempre tra loro, senza empatizzare mai, quello puramente Sirkiano e quello sfaccettato e cerebrale di Cassavetes.

Senza questo o purtroppo, con troppo di questo e quest’altro, Pieces of a Woman racconta il dolore austero con più personalità, traboccando di retorica sbagliata a volte, riempiendosi altre di temi che sono zavorra per il beneficio della pellicola e per la rivoluzione tardiva della sua protagonista.

Ma Pieces of a Woman seppur difettoso, è un film sincero, voluto e nato prima di tutto da una sofferenza artistica, libero anche se epidermicamente disattende un certo approccio all’originalità e non si priva di commistioni sbagliate e altisonanti.

Andando oltre la pelle, riesce a sincronizzarsi sui battiti di quel preciso momento in cui un’esistenza si priva del dolore per restituirsi alla vita, quello che è difficile osservare negli attimi di una vita vera è il momento preciso dell’epifania e della catarsi, trova la sua rivoluzione e la sua strategia di redenzione tra una scena ed un’altra in pochi secondi e poche inquadrature incalzando e perdonando tutti gli sbagli fatti in precedenza di accumulo senza tanto respiro.

La grandezza del cinema è soprattutto questa.

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