Psicomagia, Jodorowsky insegna come trasfigurare e pacificare l’inconscio con l’atto creativo

by Antonella Soccio

La psicanalisi è medica, scientifica. La psicomagia è panica, artistica, si nutre di simboli culturali. La psicanalisi usa le parole, in una eterna auto narrazione di sé, la psicomagia interpreta l’inconscio e il materiale onirico con le azioni, i gesti, creando arte. Uno psicanalista non può mai sfiorare il suo paziente, pena il crollo del meccanismo del transfert e del controtransfert, un guaritore psicomagico fa del contatto con l’assistito il punto centrale del flusso di energia che porterà alla guarigione dal sintomo e alla riconciliazione col trauma che lo ha causato e che ha forgiato l’intera esistenza.  

Psicomagia. Un’arte per guarire di Alejandro Jodorowsky è uno straordinario lavoro terapeutico, che muta nel profondo lo spettatore, mettendolo in relazione, a bruciapelo, con le sue verità occulte.

Il grande regista e intellettuale attraverso numerose testimonianze reali in questa opera omnia documentario, che rinvia in ogni storia ai suoi indimenticabili film El Topo e La montagna sacra o al suo Cabaret Mystique spiega cos’è la psicomagia, quali sono i suoi principi e come viene praticata, mostrando alcune persone durante il trattamento curativo nel corso del loro atto psicomagico fino alla dimostrazione del cambiamento e degli effetti.

In un carillon di immagini, atti psicomagici e terapia collettiva si alternano nel film, ascoltati e toccati dalla macchina da presa e dal corpo di Jodo, due fratelli che si contendono l’amore della madre, un 47enne balbuziente che ritrova la sua voce di adulto liberando il suo fanciullo intrappolato insieme alla sua energia virile, una giovane donna che ha visto il suo promesso sposo suicidarsi volando da un palazzo, una coppia di singole monadi infelici che non riesce più a comunicare e che vive il matrimonio come una pesante catena, una ragazza che si disistima perché mai accettata e amata dalla madre sin dalla nascita, uno chansonnier che ritrova il suo rapporto creativo col padre morto e molto più talentuoso di lui, un uomo abusato dal padre che sogna ogni giorno di suicidarsi, una anziana depressa e rabbiosa.

In ogni storia, l’atto psicomagico proposto e somministrato da Alejandro Jodorowsky e già immaginato nei suoi film decenni e decenni prima sovverte l’ordine della parola e anche il sistema creativo del surrealismo. È lo stesso Jodo a spiegarlo nel film: se i surrealisti riportano sulla tela il sogno, contaminando la realtà, la psicomagia effettua un percorso inverso e si preoccupa di modificare proprio il sogno, l’inconscio, insinuandosi nelle sue incrostazioni, nelle sue ossessioni, che emergono dapprima sul corpo come piccole patologie, devianze e disturbi fino ad insinuarsi nell’umore, nelle fobie. Il film libera tutti dalle proprie paure, si esce dalla sala rigenerati, leggeri, come e più dei personaggi-pazienti.

Ecco allora che l’uomo abusato dal padre con istinti suicidi deve vivere la sua morte, seppellendosi fisicamente sotto terra, con tanto di avvoltoi a mangiare le carogne (dei pezzi di carne da supermarket) sulla tomba. Solo risorto potrà essere lavato col latte bianco, che purificherà la sua vergogna. La donna intrappolata nel destino suicida del promesso sposo dovrà per prima cosa tumulare il suo abito bianco, l’altra sé morta insieme al suo amore, per poi lanciarsi col paracadute per provare il volo dell’amato e chiudere per sempre quella colpa, pacificandosi e perdonandosi.

La storia di ognuno è costituita da parole e da azioni, dalla vita che ciascuno si racconta, accontentandosi di atti piccoli, mediocri fino al giorno in cui scoppia, perde le staffe e si ripiega su se stesso, deprimendosi. L’atto psicomagico è un’iniziativa premeditata che determina una frattura nell’ordine della morte perpetuato dalla società e dall’io profondo.

L’atto è una azione, mai una reazione vandalica. Deve provocare sempre un’impressione positiva, perché l’arte crea sempre. Nel film si dà anche conto di un atto psicomagico sociale in Messico in ricordo dei 70mila morti delle lotte dei narcos. In quel caso il regista nella piazza invita tutti alla riflessione, alla ricerca col divino nella propria interiorità in lutto, perché come ha scritto nel libro Psicomagia “quando la moltitudine si infiamma, quando le manifestazioni degenerano, quando la gente incendia le automobili o lancia pietre, assistiamo a una liberazione di energie represse. Ma questo non merita di essere definito un atto poetico”.

Lo spettatore nel vedere i protagonisti del film completamente trasformati nei tratti somatici del volto dopo il proprio atto psicomagico prescritto da Jodo effettua su se stesso una terapia. Un gigantesco atto terapeutico si concretizza grazie alla visione introiettata. È come se nel fare proprie le esperienze narrate dal film si tagliasse un cordone ombelicale, lo stesso che viene simulato nel parto adulto inventato dalla psicomagia e che si vede realizzato in tre “pazienti”.

“Il nostro abituale parametro di valutazione è l’angusto paradigma delle nostre credenze e dei nostri condizionamenti. Della realtà misteriosa, vasta ed imprevedibile, percepiamo soltanto ciò che filtra attraverso la nostra minuscola lente. L’immaginazione attiva è la chiave di una visione ampia, permette di mettere a fuoco la vita da punti di vista che non sono nostri, pensare e sentire partendo da prospettive diverse. Questa è la vera libertà: essere capaci di uscire da se stessi, attraversare i limiti del piccolo mondo individuale per aprirsi all’universo”.

Alejandro Jodorowsky

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