Radioactive, la storia di Marie Curie nel film di Mariane Satrapi

by Paola Manno

É sempre difficile lavorare su un’opera, cinematografica o letteraria che sia, che racconta un personaggio molto noto. Spesso ci sono precedenti con i quali confrontarsi, alcuni amatissimi, ma la vera questione ruota attorno all’idea che di questi “miti” ci siamo fatti, perché un’opinione personale crea spesso aspettative molto precise che, se disattese, deludono il lettore o lo spettatore. 

Ero perciò molto curiosa di vedere la versione di “Marie Curie” di Mariane Satrapi, da sempre impegnata con le sue opere sul fronte dell’empowerment femminile.

Il film che la racconta e che si intitola “Radioactive” è uscito nel 2019 ed è basato sull’omonimo romanzo a fumetti di Lauren Redniss. 

Maria Salomea Skłodowska è indubbiamente una delle scienziate più famose al mondo, unica donna insignita di 2 Premi Nobel, per la fisica nel 1903 e per la chimica nel 1911. Nata in Polonia nel 1867 e trasferitasi in Francia nei primi anni ’90, nota per i suoi studi sulle radiazioni e per la scoperta del radio e del polonio, fu inoltre la prima donna ad insegnare alla Sorbona. 

Il film della Satrapi non vuole essere solo un film biografico: “Non si tratta solo di Marie Curie, grande donna. Ma soprattutto delle conseguenze della sua scoperta del radioattività. Se fosse stato un semplice film biografico, non l’avrei mai fatto” ha dichiarato la regista.

Il fascino delle straordinarie scoperte scientifiche e la passione che ha caratterizzato il lavoro della scienziata sono elementi portanti che vengono raccontati visivamente (una barretta fluorescente accompagna moltissime scene del film) ma anche attraverso una costruzione interessante.

Il racconto si apre con le immagini degli ultimi istanti di vita di Marie Curie che, trasportata su una barella in un corridoio di un ospedale, ripercorre le tappe della sua vita. L’arrivo a Parigi, i primi esperimenti, l’incontro con Pierre Curie, gli scandali, i riconoscimenti, alcuni episodi della sua vita, insomma, si intrecciano alla storia dell’umanità, al futuro che verrà e che è legato alle scoperte di questa donna: la bomba atomica a Hiroshima, lo scoppio a Chernobyl, un test nucleare del deserto del Nevada, un bambino bombardato da radiazioni per la cura del cancro.

Quest’intrecciarsi di vite, di pensieri, di eventi vuole ricordarci in un modo molto esplicito quanto l’uomo sia legato all’altro uomo e mi hanno riportato alla mente le bellissime parole di Pasternak in “Il dottor Zivago”:-Ma che cos’è la storia? -È un dar principio a lavori secolari per riuscire a poco a poco a risolvere il mistero della morte e a vincerla per un giorno. Per questo si scoprono l’infinito matematico e le onde elettromagnetiche, per questo si scrivono sinfonie.

Vi è un secondo elemento che dà forza al film e che è strettamente legato al ruolo delle donne all’inizio del XIX secolo. Marie è riuscita a farsi strada in un mondo di scienziati uomini. Di più, è riuscita a diventare più capace, più determinata, più brillante di tutti gli altri e nonostante tutto hanno continuato a discriminarla.

La scienziata non potè infatti ritirare il Premio Nobel nel 1903 (ritirato dal marito) ma in seguito, nonostante le fosse stato chiesto di non partecipare alla manifestazione del 1911, non rinunciò a salire sul palco di Stoccolma, sostenuta dalle femministe svedesi, insieme alla figlia maggiore. 

Marie Curie subì per anni le discriminazioni di genere che, ostinatamente, fronteggiò a testa alta, e la regista decide di raccontarlo attraverso dialoghi che rivendicano i suoi diritti: –L’idea è mia, non tua! -A Stoccolma avrei dovuto andarci io! -Io non sono solo più brava di tutte le altre donne, ma anche di tutti gli altri uomini! 

Mariane Satrapi non ha paura di tirar fuori il “carattere scomodo” della donna che per anni lavorò duramente e che in seguito alla morte del marito, ebbe una relazione con il collega Paul Langevin e per questo aspramente giudicata. L’intensa e appassionata interpretazione di Rosamund Pike non fa che mettere in luce  la bella, importante consapevolezza di Marie di essere una donna libera: di inseguire i propri sogni, di godere dei frutti del proprio lavoro, di vivere le proprie, sacrosante passioni. 

E se è vero che nella storia del “mito” Marie è indissolubilmente legata non solo alla scienza ma anche alla figura del marito di cui non abbandonò mai il nome, a un amore raccontato come invincibile, questa Marie dipinta dalla regista francese è estremamente interessante proprio perché è invece poco romantica, molto pratica e affatto sottomessa.  Una donna con in mano un vetrino fluorescente e il destino di molti uomini e molte donne che verranno: non è un’immagina potentissima? 

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