Soul, il viaggio di Disney Pixar alla ricerca del senso dell’esistenza

by Giuseppe Procino

La vita di Joe non è andata come immaginava: Talentuoso pianista Jazz ma sfortunato, è costretto ad insegnare musica nelle scuole medie per poter vivere. Un giorno gli si presenta l’occasione della vita: suonare con Dorothea Williams, una nota sassofonista.

Mentre si prepara per il debutto però, cade in un tombino e finisce in coma. Risvegliatosi in un universo ultraterreno dove c’è chi viene condotto verso l’aldilà e chi invece viene preparato per iniziare una nuova vita, Joe con l’aiuto di 22, un’anima che non ha alcuna intenzione di incarnarsi sulla terra, dovrà cercare di rientrare nel suo corpo. Durante questa avventura il musicista e l’anima capiranno delle cose illuminanti.

Viaggio tra due dimensioni alla ricerca del senso dell’esistenza, Soul ha il pregio di essere linea secante tra l’infanzia e l’età adulta, confermando l’attitudine non sempre riuscitissima della Pixar di cercare di comunicare con più pubblici. Se Inside Out dello stesso regista, Pete Docter, aveva il limite di essere efficace più per i genitori che per i bambini, in questo caso l’equilibrio è perfettamente riuscito, ricordandoci nelle intenzioni un altro capolavoro sempre dello stesso regista, ovvero, Up.

Soul riesce nell’intricatissimo compito dello spiegare ai più piccoli una visione della vita, riempendo la storia di spunti di riflessione complicatissimi ma comprensibili.

Parlare ai bambini è indubbiamente più complicato che farlo con gli adulti e questo film di animazione ci riesce in maniera impeccabile, senza sbavature e senza inciampare in falsi moralismi o vere e proprie lezioni di vita.

Questa è la magia della Pixar, quasi sempre in grado di raccontare l’altra faccia della medaglia della Disney, senza principi, principesse ma interessata al racconto di personaggi normali che si scontrano con la realtà. Alla ricerca di Nemo ad esempio portava forse per la prima volta in un film di animazione un personaggio con un evidente handicap fisico, in Up ci si interrogava sul senso di famiglia, sulla genitorialità negata e soprattutto sul ruolo della terza età in una società che insegue a tutti i costi il profitto. In Soul si parla del senso della vita, che attraversa le relazioni sociali, il principio di autodeterminazione e la corsa verso i nostri sogni. É un film che farà imbestialire i cattolici più radicali ma che indubbiamente offre una meravigliosa risposta alla domanda più complicata di tutte, che non è: “c’è vita dopo la morte”.

Qualcuno ci ha messo al mondo pur sapendo che dovremo morire, allora: vale la pena vivere? È questo il punto nevralgico attorno a cui si dirama la storia di questo bellissimo film di animazione.

La vita ci viene così raccontata come una meravigliosa metafora del Jazz, piena di improvvisazione ma alla fine bellissima proprio perché imprevedibile. E il Jazz è il mezzo che la sceneggiatura dello stesso Docter, assieme a Kemp Powers (tra l’altro co-regista della pellicola) e Mike Jones predilige come dimensione ideale per l’esistenza perché il Jazz è onda che ti culla e ti trasporta, il jazz è sorpresa, il jazz è variazione, senso di appartenenza alla musica. Soprattutto il Jazz è contaminazione come la vita di tutti i giorni che influenza e ci coinvolge nella fitta rete delle persone che incontriamo. Il ruolo dell’ insegnante in questa prospettiva diventa un ruolo fondamentale, importantissimo perché in grado di veicolare le attitudini e il talento.  È una storia che evita la risoluzione scontata, giocando con diversi piani narrativi e caricandosi di riflessioni importanti. Proprio per questo a dirigere la colonna sonora troviamo inaspettatamente due figure legate alla scena Industrial e Metal degli anni novanta: Trent Reznor (unica mente dietro il progetto Nine Inch Nails) e Atticus Cross, produttore e programmatore degli ultimi lavori del musicista. Per i più attenti, Reznor rincorre il Jazz e la musica classica dai tempi di the Fragile del 1999 in cui comparivano brani strumentali interamente suonati al pianoforte. È lui l’anima che da vita alle mani di Joe Gardner in una resa perfetta. Non ci saremmo mai aspettati ti trovarlo in un film della Pixar ma il risultato è stupefacente. 

Inaspettata anche l’animazione, innovativa e sorprendente, una fusione tra stili diversi, che ibrida in alcuni passaggi l’arte della tridimensionalità con l’animazione classica, giocando tra vari piani dimensionali e di lettura e creando qualcosa di unico e originalissimo. La New York di Soul, calda e coloratissima, piena di umanità di diverse origini e diversi talenti, tutti con una storia da raccontare, si alterna con un altrove color pastello in cui a comandare sono figure che omaggiano palesemente geni della pittura e delle arti grafiche appassionati della musica tra cui sicuramente Mirò e Kandinsky. Il risultato supera le aspettative completando un progetto che non ha nulla fuori posto e che lascia il segno insegnandoci che, come diceva qualcuno, non è mai troppo tardi. 

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