Sympathie pour le diable: Guillaume de Fontenay racconta brillantemente l’assedio di Sarajevo al Bif&st

by Luana Martino

“Nel soffio caldo delle esplosioni, nell’odore solenne di sangue e polvere, ero finalmente a casa”. Le crude parole del giornalista francese Paul Marchand fanno da colonna sonora al pomeriggio della quarta giornata del Bif&st – Bari International Film Festival.

Nella sezione Panorama, ‘Sympathie pour le diable’ (Sympathy for the Devil) racconta brillantemente l’assedio di Sarajevo durante la guerra in Bosnia, sulle orme di un reporter di guerra incarnato da Niels Schneider.

Il primo lungometraggio di Guillaume de Fontenay, prodotto da Monkey Pack Films con Go Films, Nexus Factory e Logical Pictures e distribuito da Charades, è, appunto, ambientato nel 1992 in ex Jugoslavia, una terra in quegli anni dilaniata dalla guerra, e racconta la personalità travolgente del reporter francese: arrogante, drogato di adrenalina, forte e al tempo stesso fragile, litigioso e amorevole insieme, con un sigaro cubano sempre tra le labbra, lui che viveva ai limiti dell’incoscienza e della deontologia. Paul Marchand, deceduto nel 2009, ha sempre cercato informazioni dove altri non mettevano piede, la ricerca della verità, per quanto scottante fosse, l’ha reso impavido, onesto e desideroso di narrare i fatti senza edulcorarli al contrario di molti colleghi che preferivano la messa in scena emotiva dei conflitti.

Nella pellicola di Fontenay si respira, in modo totalizzante, la travolgente personalità di Paul, incredibilmente interpretato da Schneider, il suo spirito di ribellione, la sua corsa continua alla ricerca di notizie, dall’obitorio alle conferenze stampa della Forza di protezione delle Nazioni Unite, dai posti di blocco bosniaci e serbi per uscire ed entrare a Sarajevo ai posti di blocco dei Chetnik. Il piede continuamente pigiato sull’acceleratore di un’utilitaria che lo trasporta, con il suo amico fotografo Vincent (Vincent Rottiers) sul sedile del passeggero, da un posto all’altro, percorrendo viali completamente deserti.

Nel film non mancano scene che raccontano il quotidiano della piccola comunità di giornalisti di guerra riuniti nello stesso hotel; si respira l’aria del mercato nero in una città dove manca tutto, il fruitore è completamente trasportato nel dramma giornaliero di una guerra che, però, non riesce a distruggere la voglia di vita, il desiderio di godere delle piccole cose, l’istinto primordiale di sopravvivenza e quell’attaccamento viscerale con la propria terra e i propri affetti.
Paul Marchand era riuscito a cogliere tutto ciò, a far suo quell’orrore che, però, cela anche tanta bellezza umana. Così come si evince dall’intensa scena musicale notturna dove si dipanano le tensioni della relazione con la traduttrice serba Bobana (Ella Rumpf), una giovane donna che non viene annientata dalle continue tragedie alle quali assiste.

“Sette mesi dopo l’inizio dell’assedio, i serbi circondano la città. Quasi 400.000 persone sono tenute in ostaggio. Tra il fuoco dei cecchini e i colpi di artiglieria, cadono una media di 329 proiettili al giorno”. Numeri, notizie, cecchini arroccati sulle montagne, cadaveri, neve, freddo, ma anche confidenze, intimità, brevi momenti di svago (come le partite a poker tra colleghi e una partita a calcio giocata tra le mura dell’albergo).

Tutto è costruito con un ritmo pulsante, inquadrature veloci con una camera in spalla che ci dà la percezione di toccare quel dramma, colori ‘desaturati’, voluti dal direttore della fotografia Pierre Haïm, enfatizzano, poi, lo spoglio paesaggio.

Sympathie pour le diable’, la cui sceneggiatura è stata scritta dallo stesso regista con Guillaume Vigneault e Jean Barbe e tratta dall’omonimo libro di Paul Marchand, ricostruisce, dunque, con forza e precisione un importante episodio della recente storia europea. Un connubio ben equilibrato di sentimenti travolgenti, di immagini crude ma anche di piccoli gesti amorevoli, pudore, forza, ribellione e coraggio. Così come lo è stato Paul Marchand.

“…che le guerre non sono altro che un piccolo rumore sopra tanto silenzio, uno scontro passeggero quando il silenzio diventa troppo insopportabile, il sogno di un mondo migliore, anche se il sogno è osceno e turbolento”.

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