Tenet il marchingegno cervellotico dalle molteplici sfaccettature di Christopher Nolan

by Nicola Signorile

Ci risiamo. Rieccoci nel mezzo dell’eterna guerra tra nolaniani e antinolaniani, che vede oscillare i giudizi sul nuovo film del regista inglese, Tenet tra il capolavoro e la ciofeca, tra il nuovo esaltante capitolo della filmografia di un genio del cinema e la supercazzola spionistico-scientifica del cineasta più sopravvalutato della storia. Chiariamo subito un punto: i geni della settima arte sono altri. Nolan non è Kubrick, e neppure Welles, Chaplin o Fellini. Però, come Quentin Tarantino, il suo cinema divide, sempre. Sono gli unici registi intorno ai cui film si crea una reale attesa oggi. Del pubblico tutto, non solo dei cinefili. Le uscite dei loro film sono eventi attesi per risollevare le sorti di una settima arte dall’importanza sempre più residuale e dal botteghino esangue, ai tempi del Covid 19.

 Tenet è un marchingegno cervellotico dalle molteplici sfaccettature, un cubo di Rubik i cui incastri non sono poi così difficili da trovare. Per settimane si è parlato della complessità di una pellicola che, depurata delle derive filosofeggianti e assimilato il meccanismo base dell’inversione del tempo, si rivela piuttosto semplice nel suo plot. L’esperienza in sala è immersiva, molto coinvolgente a livello sensoriale, soprattutto per merito delle ossessive musiche zimmeriane (il fido Hans era impegnato con l’attesissimo Dune di Denis Villeneuve) di Ludwig Göransson, Oscar 2019 per la colonna sonora di Black Panther e autore delle musiche della serie The Mandalorian, a tratti persino soverchianti l’azione sullo schermo.

Una dichiarazione degli intenti nolaniani arriva abbastanza presto nel film, dalla bocca di una scienziata (Clémence Poésy): “Don’t try to understand it, feel it” (Non cercare di capire, sentilo). Così stupore e ottundimento prendono il sopravvento, fino al capogiro e al cortocircuito, mentre viaggiamo da un posto all’altro nel mondo – Mumbai, Oslo, Kiev, la Siberia, Pompei e il litorale campano – tra tenaglie temporali ed entropia degli oggetti invertita. Tenet è estremamente ambizioso, ridondante, privo o quasi di (auto)ironia e sensualità, ma, per qualche imperscrutabile ragione, invoglia a rivederlo immediatamente, rigorosamente in sala e possibilmente in lingua originale (c’è qualche problema con il doppiaggio che rende alcuni dialoghi surreali).

Un film produttivamente poderoso, nolaniano nel profondo, che porta alle estreme conseguenze il gusto per i paradossi temporali di Christopher Nolan; il più simile a Inception, conclusione imperfetta di una ideale trilogia sul tempo che ha occupato gli anni Dieci, iniziata con Inception nel 2010 (anche se già Memento nel 2000 era strepitosa riflessione sulla memoria) e proseguita con Interstellar nel 2014.

La prima ora è Nolan in purezza: l’assalto al teatro dell’Opera di Kiev rapisce e incuriosisce. Qui conosciamo Il Protagonista, interpretato da John David Washington, figlio di Denzel, ex-giocatore professionista di football, già nella serie Ballers e in Blakklansman di Spike Lee. Un uomo senza nome e senza passato al soldo della Cia; non sapremo nulla di lui nel corso dei 150 minuti, cosa che non facilita l’empatia per il personaggio. L’operazione al teatro è anche un test, superato il quale viene introdotto a un programma misterioso e a compartimenti stagni, in cui ogni componente conosce solo la sua parte di un disegno generale per  impedire la Terza Guerra Mondiale, trovando informazioni su una tecnologia che sembra in grado di invertire il tempo.

 Il Protagonista si chiede spesso se sia davvero centrale in questa storia più grande di lui e di chiunque altro. Se lo chiede anche lo spettatore aggrappato agli spiegoni, disseminati qua e là (forse troppi), come un naufrago all’ultimo pezzo di legno in mezzo al mare. Il contemporaneo fa capolino spesso con la guerra contro il futuro (i posteri, abitanti un pianeta senza speranza, tentano di azzerare quel passato che ha devastato il pianeta), l’occultamento come procedura standard del potere, l’ignoranza usata come arma. “C’è in atto una guerra fredda”, ma non ci sono stati, bandiere, schieramenti. C’è pane per i complottasti con gli hangar sotterranei e le città fantasma nella Russia sovietica.

Ridotta all’osso, la struttura è quanto mai classica: un eroe, il mondo (e la bella) da salvare, il supercattivo. L’atmosfera, gli abiti, le auto, gli orologi, suggeriscono un nome, forte e chiaro: James Bond. il Protagonista è il primo 007 nero della storia (o un Ethan Hunt alternativo, per chi preferisce la saga di Mission Impossible), ma senza il carisma, e soprattutto l’ironia, dell’agente segreto giramondo. Nolan ci prova, ma l’ironia e la leggerezza non fanno parte del suo bagaglio, a parte la raffinata apparizione di sir Michael Caine (“Voi inglesi non avete il monopolio dello snobismo”. “Direi che è più un azionariato di controllo”, è uno scambio tra i più riusciti). Provano a esser guasconi, con esiti altalenanti, Washington e Robert Pattinson. Il neo Batman è la spalla ideale, figura ambigua di scienziato-spia, sul quale resteranno molti interrogativi (è il figlio di Sator allevato e addestrato dal Protagonista nel futuro?).

Un tratto comune ai personaggi è la mancanza di spessore. Il protagonista e le figure che gli gravitano attorno sono funzioni di un’equazione complessa, pedine da muovere su uno scacchiere, più che persone reali. L’importante per l’autore è la costruzione di una struttura, degli ambienti, dei meccanismi di un giocattolo contenente tutte le sue ossessioni, a cominciare dalla tecnologia e dal tempo. Questo tuttavia non può che togliere anima ai personaggi, compreso Sator, il villain monocolore di Kenneth Branagh che vuole la distruzione del genere umano (Nolan ha dato più di un’occhiata a Thanos e ad Avenger Endgame), una sorta di Roman Abramovich con tanto di mega yacht e moglie di algida bellezza. Lei è l’eterea Elizabeth Debicki, attrice che non esce dal ruolo che l’ha resa famosa nella serie The Night Manager: Kat è intrappolata nel matrimonio con un maschio tossico che la ricatta e minaccia di allontanarla per sempre da suo figlio.

Tra Washington e Debicki nasce un rapporto che resta sospeso, non c’è alchimia fisica e sentimentale tra i due; sono del tutto assenti la seduzione e l’erotismo, come spesso accade nel cinema di Nolan. Ci si ferma un passo prima che il triangolo amoroso nasca, il mèlo è accennato, suggerito, mai vissuto, neanche nella forma dell’ossessione amorosa del Di Caprio di Inception per la bella Cotillard. Si percepisce una sensazione generale di freddezza quando Tenet cerca di virare verso le relazioni umane, vedi il dramma famigliare legato a Sator e Kat, il cameratismo tra Il Protagonista e Neil, la relazione tra Kat e il suo salvatore.

Ma cosa significa Tenet? La parola Tenet è al centro del Quadrato del Sator, una misteriosa iscrizione latina palindroma (può esser letta da sinistra a destra e viceversa): “Sator Arepo Tenet Opera Rotas”. Parole che compaiono nel film più o meno in evidenza. Nel futuro è stata costruita un’arma, basata sulla fissione nucleare, capace di invertire l’entropia e quindi la naturale progressione del tempo. Dunque, ecco un algoritmo diviso in nove parti nascoste nei luoghi più blindati del globo dalla scienziata che lo ha scoperto; i tornelli che permettono di proiettare le persone in senso inverso, la Teoria della casualità inversa di Feynman, anche detta Teoria dell’elettrone alla base di tutto il meccanismo, un mondo allo stremo che cerca di azzerare tutto, cancellando il suo passato e l’intera storia dell’uomo. Vi siete persi?

Tenet sembra sempre sul punto di mollare gli ormeggi, di liberarsi dalle briglie delle elucubrazioni concettuali, lasciando che lo spettatore si abbandoni alla purezza dell’esperienza filmica, invece ci tiene avvinti alla poltrona, impossibilitati a distrarci anche solo per un attimo. Tesi a inseguire il dialogo che potrebbe rivelarci l’arcano, il passaggio fondamentale, perso il quale, non riusciremo a decifrare l’enigma. Una delle ragioni che giustificano una seconda visione, magari meno intrappolata nel tentativo di comprensione del senso complessivo. Inoltre, il film è girato in buona parte in Imax: quindi per una parola finale sulla resa estetica sarebbe necessaria una visione ulteriore in una sala adatta all’occasione.

Da notare gli echi della serie Dark (il Paradosso del nonno) e della saga di Matrix con la potente sequenza sulla tangenziale di Tallinn con alcuni mezzi che viaggiano al contrario e il rosso e blu a contrassegnare chi procede seguendo il corso naturale del tempo e chi viaggia all’inverso. Così come di grandissimo impatto è la lunga sequenza nell’aeroporto di Oslo. Mentre molto confusionario è il lungo finale in uno scenario da war movie: tra esplosioni normali e invertite, muri che vanno in pezzi e si ricostruiscono, proiettili che sfrecciano in ogni direzione e ampio sfoggio di effetti si perde decisamente il senso dell’orientamento. Superlavoro per Jennifer Lame, montatrice impegnata in un autentico rompicapo spazio-temporale, alla prima collaborazione con Nolan, dopo la lunga partnership del regista con l’australiano Lee Smith.

Viviamo in un modo crepuscolare”: la citazione di Walt Whitman è ripetuta continuamente in Tenet. La profezia su un universo che sta per spegnersi non è nuova all’immaginario nolaniano, paradossalmente con quest’opera chiamato a riportare gli esseri umani all’esperienza collettiva della visione in sala in tutto il mondo. Ancora una volta il regista si mostra in grado di creare una macchina spettacolare che genera tensione anche da teorie filosofico-scientifiche, tenendo alto il ritmo anche durante i lunghi dialoghi. Autore artefice di un cinema che associa a intrattenimento spettacolare, una chiara visione personale del mondo, delle relazioni umane, del potere della settima arte e lo sviluppo di ossessioni e idiosincrasie personali attraverso meccanismi filmici complessi e tecnocentrici. Christopher Nolan va preso così, con le sue enormi capacità e con gli immancabili, grandissimi, difetti. Ma, attenzione, rimandiamo un giudizio definitivo a una seconda visione di Tenet che potrebbe cambiare tutto. Perfino invertirne il senso.

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