Valentina e Guido Crepax: questa lunga storia d’amore raccontata dal film di Giancarlo Soldi

by Gabriella Longo

Era il 1965 quando Neutron, una sorta di Mandrake milanese, sarebbe stato messo k.o. dalla sua fidanzata, Valentina Rosselli. Il fascino della donna comparsa per la prima volta sulle pagine di La curva di Lesmo – che allora sembrava poter essere soltanto l’eterna e bellissima compagna di Philip Rembrandt (alias Neutron) – avrebbe conquistato per sempre il pubblico e colui che le diede la vita; il k.o. fu soprattutto editoriale, e così Valentina, messo da parte il supereroe, divenne la nuova protagonista delle strisce di Linus.

A pensarci bene tutta la vicenda che ruota attorno al suo personaggio è un promiscuo intorbidirsi di realtà e immaginazione, dal Rembrandt, creatura di carta, che la cerca costantemente, – contribuendo così a fare della di lei ferina essenza qualcosa di cui si gode ma che non si può afferrare mai-, sino allo stesso Guido Crepax (con la “x” solo nel cognome d’arte), che con Valentina -o almeno una delle tre- ci divideva letteralmente il sonno.

Ma questo è anche il fil rouge che attraversa il documentario Cercando Valentina: il mondo di Guido Crepax firmato Giancarlo Soldi, anche lui fra quelli che l’hanno amata dentro e fuori dai bordi di china. Molto di più, infatti, di un omaggio al genio delle “matite italiane” e alla sua creatura dal caschetto scuro, piuttosto una scrittura su pellicola del codazzo di uomini e donne che ne sono rimasti folgorati: interviste a registi, fumettisti, scrittori e ai membri della famiglia Crepas, si alternano a inediti materiali d’archivio, mentre sotto scorre carsica la fiction di Rembrandt, uscito letteralmente dalle pagine del fumetto e andato a cercare la sua amata nel mondo reale.

“Inconsciamente ho fatto quello che ha fatto Crepax”, ammette Soldi a commento del suo film proiettato al Cinema Lux di Roma lo scorso 3 marzo, riferendosi ad un modus operandi che cita continuamente altre forme d’arte. A partire dall’impalpabile Valentina del suo film, della quale percepiamo all’inizio solo la silhouette nera celata alla vista da un telo di plastica, sporcato di blu dal sensuale gioco con le mani, quel blu che era stato di Yves Klein e che Crepax aveva conosciuto guardando Mondo Cane (1962) del regista Piero Jacopetti.

Allo stesso modo Guido Crepax, nelle sue tavole, divorava e digeriva citazioni di pubblicità, cinema, musica design e moda. C’è tutta la sua Milano dei sixties dentro Valentina, quella frizzante, beat, e un po’ snob dei salotti dell’alta borghesia, della quale la stessa famiglia Crepas faceva parte. Persino i libri, quelli letti dalla bella fotografa, sono gli stessi che popolavano il grande armadio di legno olandese della casa del suo autore, nonché gl’indiscussi protagonisti di un’altra famiglia indissolubilmente legata a Crepax e alla sua Valentina, ovvero a quella di Giovanni Gandini, ideatore di Linus, e di sua moglie, proprietaria di una immensa libreria a tre piani (quando all’epoca, di simili, c’erano solo la City Light di San Francisco e la Indica a Londra).

Le voci della narrazione di Soldi ricostruiscono l’identità di una mente autoriale che dal ’65, con buona pace dello stesso Gandini, sarebbe rimasta indissolubilmente legata al suo personaggio più celebre, in una storia d’amore che oggi compierebbe 55 anni e che è evidentemente sopravvissuta a Crepax stesso, se ancor oggi qualcuno si prende la briga di andare a cercare quella sua creatura. È una storia psicanaliticamente profonda, come suggerisce Mario Martone, una delle voci del coro nel film, che coinvolse l’intera famiglia di via De Amicis 45, casa della famiglia Crepas e per diritto anche casa di Valentina, una storia, s’è detto, di bovarismo, che condusse Crepax, alla stregua di Flaubert, ad ammalarsi artisticamente del prodotto della sua fantasia sino alla resa e all’aperta confessione: “prendimi Valentina, sono tuo”.

Crepax viveva ovviamente in Rembrandt, ma al tempo stesso anche in Valentina. Entrambi personaggi che, peraltro, avevano un debito fortissimo col tema del voyeurismo: Philip Rembrandt, il Phil critico d’arte, ma anche il Mandrake col potere medianico dello “sguardo paralizzatore”. Valentina, fotografa, con nessun altro potere se non quello d’essere sé e di darsi allo sguardo per fuggire un attimo dopo. E questa fu la vera rivoluzione.

Dotare un personaggio di un potere che fosse straordinariamente umano, quello, appunto, del fascino, e scoprirlo più eccezionalmente fatale se messo addosso ad una donna con la bellezza della Brooks di Pabst e con in mano gli scritti di Trozkij. La libertà espressa dal nudo, della continua e reiterata esibizione delle curve sinuose di Valentina, che peraltro indossò la minigonna ancor prima che Patty Pravo portasse a Canzonissima ’66 Ragazzo Triste, è il riscatto della femme fatale dai suoi archetipi di prostituta, come lo era la Lulù di Pabst della quale nel ’65 le rimane solo il caschetto. Ma scopriamo, dalla ricerca che va oltre lo schermo del cinema e passa per il racconto diretto di Giancarlo Soldi, (il quale a sua volta recupera un aneddoto narrato da Bertolucci, grande assente del documentario ma estremo conoscitore della materia) che non c’era solo la Brooks dietro il personaggio di Valentina, ma almeno altre due donne- simboli di indipendenza ed emancipazione, altre prostitute, un altro paio di bei caschetti neri, ma questa volta figlie della nouvelle vague. Erano entrambe protagoniste di due film del ’62, la Nana di Vivre sa vie di Jean-Luc Godard, interpretata da Anna Karina, allora moglie del regista francese, e Claudia Cardinale nelle vesti dell’Angiolina di Senilità di Mauro Bolognini. Così, anche Luisa, moglie di Guido, che per un curioso scherzo del destino portava lo stesso nome della flapper di cui Crepax custodiva sempre una foto, prese a tagliarsi i capelli come Luise Brooks, Nana, Angiolina, e le altre mille anime di Valentina, incarnando, letteralmente ciò che suo marito aveva fatto nascere dal pennello. Per i figli di Crepax e Luisa, Valentina è sempre stata la madre. Salvo poi, avere in famiglia, una nipote che si chiama davvero Valentina Crepax.

Alla domanda cosa fosse la Valentina del fumetto diremmo, allora, semplicemente che fosse lo spirito del tempo, tanto per echeggiare altre produzioni di quegli anni anarcoidi. E “spirito” è davvero un buon modo per definirla, ancora oggi, dopo 55 anni che la si cerca e non la si trova; pare che si rincorra un fantasma persino nel film di Soldi, come Phil, o Pippo, che è uscito dal fumetto, l’ha chiamata con un moderno telefonino, ma ha ricevuto in cambio solo un messaggio registrato della segreteria telefonica. “Valentina amore mio, ecco che succede ogni volta che ti scrivo. Quando scelgo di scriverti la mia penna aggiunge veloce “amore mio”. E lì mi fermo”, dice Rembrandt. E lì, sospesi nei bordi volutamente mai chiusi distintivi del segno di Crepax e indici dell’effimera natura di Valentina, ci fermiamo anche noi.

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