Vertical Man e il prezioso giacimento che rivela. Un film ambizioso e provvidenziale: il declino di Foggia non è scritto nelle stelle

by Enrico Ciccarelli

«Vertical Man» è un film. Non sembri paradossale, ma la recensione deve partire da questa apparente ovvietà. Perché è ad un tempo facile e difficile per chi scrive cedere all’entusiasmo di campanile, compiacersi nel vedere sul grande schermo tanti amici e tante persone che stima, esaltarsi nel vedere la propria città piagata r mesta riscattarsi all’insegna di una sorridente e autoironica commedia.

Ma questo percorso farebbe torto alla mission impossibile intrapresa e portata a termine da un videomaker estroso e di talento come Roberto Moretto (produttore con Jr Studio, coautore e regista). Un budget ridotto, garantito dalla generosa lungimiranza del Gruppo Telesforo, la collaborazione di altri due sceneggiatori bravi ma di non ingente curriculum e di un’assortita combriccola di attrici ed attori di teatro. Sono questi gli ingredienti di un lungometraggio più che dignitoso realizzato in un’avvilita periferia del Mezzogiorno sfibrata da incoscienza e rassegnazione. Onore al merito di chi ci ha creduto. Mettendoci entusiasmo e qualità, andando incontro agli inevitabili errori, alle subdole ingenuità di un’opera prima. Un prodotto che non sfigura (au contraire!) al confronto con prodotti cinematografici di ben altro bilancio e lignaggio.

Partiremo innanzitutto in rassegna i diversi punti che abbiamo apprezzato particolarmente. Innanzitutto il registro: un film di impegno civico, dedicato al drammatico e soffocante tallone della criminalità organizzata e a come impoverisce e avvelena una comunità è a forte rischio di insopportabile e inutile sermone moralistico, farlocca parabola edificante. Moretto e i suoi coautori, l’enfant prodige Christian Di Furia e Nicola Rignanese hanno scelto il registro della commedia mordace e surreale, che ha qualche vaga parentela con il mai abbastanza rimpianto «Tano da morire» di Roberta Torre e nessuna con il dolciastro «La mafia uccide solo d’estate» che ha reso celebre Pif.

Altro punto di forza è la regia: Moretto sa di cinema e lo sa fare, anche se a volte tiene troppo a farcelo sapere. Per fortuna le citazioni cinefile non sono né soverchie né fastidiose, e l’inclinazione al grottesco non va quasi mai a scapito della linearità della narrazione. Nel suo lavoro il directorproducer è molto aiutato da una splendida fotografia: la Foggia notturna e diurna di Vertical Man ha una veste di bellezza vissuta e priva di cartolinismo. Riteniamo se ne debba dare credito a Sergio Grillo, che della fotografia è il direttore. Azzeccate e non invasive le musiche di Guido Paolo Longo.

Meritano applausi a scena aperta i due protagonisti. Sia Roberto Galano che Nicola Rignanese sono a mia scienza attori di teatro; ma vedendo Vertical Man li si direbbe nati in una pellicola cinematografica. Se Rignanese è superbo nel personaggio eccessivo e sopra le righe del boss Spichisi, «clown Augusto» dell’ideale duo comico dei protagonisti, Galano regala al suo personaggio, Nicola Carbone, uno smarrimento sobrio ed amaro da perfetto «clown bianco» con una capacità di scavarsi in volto i segni dell’insonnia (paradossale architrave narrativa del film, nella città dormiente e abbandonata) che ricorda la feroce applicazione dell’Actor’s Studio (per capire il riferimento –altissimo. andate a recuperare un film del 2002 che si intitola «Insomnia» e guardate Al Pacino)-

I due protagonisti sono aiutati da una platea di non protagonisti, figuranti e cameos di livello notevole. Paola Capuano, signora Carbone nel film e signora Moretto all’anagrafe, è brava e strabella; il dottore codardo e arrogante di Andrea Lolli  è magnificamente in parte, e via giù per li rami, con il sindaco cialtrone e vagamente fittiano di Giuseppe Scoditti, la ragazza seducente e petulante di Maggie Salice, la sbirra amara e sprucida di Natalia Angelini, e il vastissimo giacimento dei teatranti foggiani, con le deliziose Simona Ianigro e Francesca De Sandoli in veste di giornaliste, il carognesco boss di Pierluigi Bevilacqua, il picciotto Leonardo Losavio, che sembra il Freddo di «Romanzo Criminale», Dino La Cecilia, Giuseppe Rascio, Fabio Maggio e tanti altri. Ragguardevole Enzo Marchetti, ideale decano della compagnia, impegnato in un’amletica personificazione dello spettro del padre del protagonista. Menzione d’onore per il brillante caratterista Alessio Ivo, che è al cinema anche come sosia di Gerard Depardieu nel «Grande giorno» di Aldo, Giovanni e Giacomo.

Ultimo elogio per l’assai precisa ricostruzione della nouvelle vague inaugurata dai criminali: non più richieste estorsive per succhiare il sangue ai commercianti, ma loro trasformazione in prestanome, con i clan reali padroni degli esercizi e dell’economia della città. Fenomeno –ahimé- tutt’altro che inventato e attestato da innumerevoli inchieste giudiziarie.

Scene memorabili: l’arringa del supereroe malgré soi sul carretto che chiama alla riscossa i buoni tramite megafono, e le due processioni, una autentica, con Nicole Piemontese Vergine Maria e l’altra come parata finale, con le splendide Giada Ordine, Maggie Salice e Graziana Cifarelli in una specie di riedizione della commistione sacro-profano di Bocca di Rosa.

E i difetti? Diremmo quelli di molte opere prime: l’affollamento espressivo, con l’ansia di dire tutto quello che si ha da dire. Alcuni compiacimenti inutili (le immagini della luna sono bellissime, ma non è il caso di proporle ad ogni pié sospinto), qualche situazione narrativa insistita o non ben delineata (si pensi al mostro dell’infanzia che insegue ripetutamente il malcapitato Carbone), per tacere del fatto che la storia dei due amici d’infanzia uno divenuto cattivo e l’altro rimasto buono ha smesso di essere originale circa un secolo fa.

La sommessa opinione di chi scrive è che la pellicola guadagnerebbe molto da un piccolo supplemento di post produzione, con un minimo di cura dimagrante; ma è obiettivamente difficile chiederlo ha chi ha sudato due anni fra difficoltà di ogni tipo per condurre in porto un progetto ambizioso e riuscito.

Foggia –intendiamoci- ha risposto bene: non era scontato che Vertical Man fosse proiettato alla Città del Cinema in concomitanza con Avatar2. E ci riferiscono di dati di botteghino assai lusinghieri. Ora si tratta di trovare un distributore nazionale e soprattutto l’energia per battere il ferro finché è caldo. Con un nuovo progetto, una nuova ambizione non inferiore a questa.

Il giacimento di talenti, di impegno, di generosità che nutre Vertical Man è lq migliore dimostrazione, forse, che né il retaggio né il destino della città stanno nell’accidia opaca e disperata della mafiosità. L’augurio è che questo prodotto imperfetto e provvidenziale possa assolvere a una delle funzioni principali che il cinema ha sempre avuto: rivelare la comunità a se stessa. Lunga vita, Vertical Man.

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