I fumi di Taranto

by Marco Pezzella

Anteprima luccicante del nuovo film di Sergio Rubini nel glorioso Teatro Petruzzelli in occasione del decimo Festival del cinema barese, Bifest.

La pellicola, ambientata e girata dichiaratamente a Taranto, compie un interessante parallelo fra il mondo degli indiani americani oppressi per anni dagli Yankee e quello dei tarantini schiacciati dall’Ilva. L’industria al centro della narrazione è però quella del furto, dell’illecito, della malavita, spesso nascosta nei vicoli delle cittadine meridionali sul mare e spesso fulcro delle narrazioni cinematografiche nostrane.

Sergio Rubini, regista e primo attore del film, torna quindi a raccontare quel tessuto sociale “sporco” intimamente oltre che foneticamente. Curioso che sia proprio questa sporcizia fonetica a far sorridere gli spettatori, Rubini lo sa ed è un assunto ormai consolidato e da cui quest’ultimo riparte.

Paradigma di tutto quanto anzidetto è Rocco Papaleo, il quale ha fondato la propria inclinazione comico-grottesca sulla sporcatura lessicale e fonetica; riesce a trasmettere tale verve all’interno del film tant’è che il pubblico cinefilo ha sorriso rumorosamente sulla sua prima inquadratura. Ci si aspetta un personaggio muto, quasi a citare Bernardo, il servo muto di Zorro e invece parla e parla con un’inflessione inconfondibile e travolgente.

L’attore lucano nel film costruisce un’amicizia improvvisa, forse mandata dal grande spirito, col ceffo barboncino (Sergio Rubini) e assomiglia all’amicizia che Verga raccontò nel suo “Rosso Malpelo”. Per Verga era una miniera nella quale i protagonisti restavano incastrati e sognavano di uscire a riveder le stelle; Renato e Tonino, qui, sono schiacciati da destini sfortunati e comuni delusioni su un futuro inesistente, sognando una donna e il Canada.

Tanto in Verga quanto in Rubini è lo stato di necessità a determinare la nascita di un’amicizia fondamentale quanto un ombrello da aprire in caso di pioggia. Per il regista di Grumo Appula il personaggio di Rocco Papaleo (Cervo Nero) è un uomo borderline, segnato in viso, solitario e – per questo – affascinante cinematograficamente; conosce le antenne radio ma anche le macchine della Fiat, riesce a sapere l’ora scrutando il sole, ma soprattutto sa curare i deboli del suo villaggio.

Certo, Cervo Nero così borderline apre a svariate interpretazioni e aderenze alla cronaca nera, non ultima il sessantaseienne bullizzato a Manduria. Un personaggio trovato lì, per caso, nascosto in una terrazza, senza che lo spettatore riesca a conoscere il suo background; ad avviso di chi scrive questo avrebbe inspessito un po’ la sua esistenza di essere umano, all’intero della pellicola.

Il Grande Spirito, in un mondo marcio arrugginito dai fumi dell’Ilva e per nulla onesto, ha il pregio di raccontare poeticamente l’inciampo di una persona nella vita di un’altra, così per caso, e bisogna ammettere che Rubini è maestro in questo. I nostri occhi “terroni” sono ancora commossi dall’inciampo del gruppo di giovani baresi in quello di donne provenienti dal nord in “Tutto l’amore che c’è”.
Allora mettiamo “le giacche all’ammerse” per diventare dei piccoli indiani, riscoprire il bambino che c’è in noi e divertiamoci immaginando mondi al di là dei tetti e delle antenne radio.

Si perché questo ultimo film di Rubini fa sorridere, goffamente e sinceramente, non delle disgrazie altrui ma dei mondi immaginati che corrono paralleli.

Il tessuto sociale che viene raccontato è completato, fiabescamente, dall’antagonista cattivo e da una principessa da liberare perché intrappolata in un carcere familiare. Nello specifico il cattivo antagonista è un credibile Geno Diana e la principessa da liberare è una dolce Ivana Lotito (Teresa), amica e complice di Renato.

Lodevole il piccolo ruolo affidato a Totò Onnis nei panni del marito spietato della vittima Teresa. Ricorda un po’ i flashback del protagonista de “La Terra” altra pietra miliare nel percorso registico di Sergio Rubini.

La fiaba ambientata a Taranto si chiude con un quasi lieto fine, un po’ cliché, un po’ aspettato che smorza l’entusiasmo cresciuto durante il viaggio compiuto dai due neo amici.

Il Grande Spirito uscirà giovedì in molte sale italiane distribuito da 01 Distribution ed è prodotto da un altro pugliese, Domenico Procacci, da Fandango.

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