Danny Kaye, il sognante mimo delle performance più eccentriche con una carica di trascinante vitalità

by Orio Caldiron

Se non era per la moglie Sylvia Fine, Danny Kaye – nato a New York il 18 gennaio 1913, muore a Los Angeles il 3 marzo 1987 – non sarebbe mai diventato Danny Kaye.

Straordinario mimo e geniale fantasista, non è un comico inventivo in grado di improvvisare, ma piuttosto un interprete eccezionalmente dotato fin da quando – nei teatri di varietà, come il Roxy e il Palace di New York, o al Copacabana, il night di Miami – si esibisce negli scioglilingua sconclusionati e nei numeri caricaturali che Sylvia gli scrive. Quando il 1° settembre 1947 esce in Usa The Secret Life of Walter Mitty di Norman Z. McLeod – da noi si chiamerà Sogni proibiti – si è già fatto apprezzare al cinema per la sua carica di trascinante vitalità e per il virtuosismo delle performance più eccentriche. Il nuovo film ripropone la formula ma questa volta l’enorme successo ne fa il titolo più importante di tutta la carriera, assicurandogli la popolarità internazionale.

Walter Mitty, l’impacciato redattore editoriale, incarna lo schlemiel della cultura yiddish prima di Woody Allen, vessato dalla madre possessiva, dalla fidanzata cretina, dall’invadente futura suocera, dal principale ottuso. Come riesce il protagonista a sopportare gli obblighi della routine borghese? Sognando di essere volta a volta il grande chirurgo, lo spericolato aviatore di guerra, il capitano di lungo corso, il gentiluomo del Sud imbattibile al poker, il cowboy senza paura. Le sequenze dei sogni sono naturalmente la freudiana liberazione inconscia dell’imbranata timidezza del protagonista, ma anche altrettante parodie degli eroi archetipi dei generi del cinema hollywoodiano, in una sgargiante galleria di specchi derisori e grotteschi in cui il cinema guarda se stesso. Il segreto del successo sta nella singolare capacità dell’attore di sdoppiarsi e di trasformarsi nei vari alter-ego. Sembra sempre su un palcoscenico, pronto a cambiare ruolo, a snocciolare filastrocche demenziali, a storpiare parole di tutte le lingue sparate a raffica, a imitare versi di animali, rumori, strumenti musicali. Come avviene con il numero del vecchio professore di musica, uno strepitoso tour de force, che interrompe il sogno dell’aviatore. O nell’episodio del mago della moda Anatole, in cui la presa in giro del grande stilista francese (Christian Dior?) è un inaudito pezzo di musical con tanto di Goldwyn Girls che spuntano da tutte le parti con nuovi e stravaganti cappelli. Cosa fa sognare più della moda? L’importante è avere voglia di sognare, di sottrarsi al tran tran quotidiano, anche se magari si sogna secondo gli schemi della cultura di massa dominante.

Sarà un caso, ma il film di Danny Kaye diventerà negli anni successivi il modello più o meno confessato per un maestro come René Clair (Le belle della notte) e per gli arrabbiati inglesi del Free Cinema (Billy il bugiardo), senza dimenticare Sogni mostruosamente proibiti con Paolo Villaggio. Se poi pensate che sia facile imitare il grande comedian e il suo celebre film, siete fuori strada. Il flop pazzesco del recente I segreti di Walter Mitty di e con Ben Stiller sta lì a dimostrarlo.

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