Francesco Nuti, il talentuoso e sfortunato ‘malincomico’ del cinema italiano

by Claudio Botta

Ha trascorso il suo 68esimo compleanno nella clinica romana specializzata dove vive ormai da anni, Francesco Nuti. Del golden boy del cinema italiano anni ’80, seduttore ironico e malinconico, innamorato del biliardo, resta ormai soltanto lo sguardo, riservato all’adorata figlia Ginevra (sua tutrice legale da quando ha compiuto la maggiore età), al fratello Giovanni, ai familiari e agli amici più cari che vanno a trovarlo, tra cui Giovanni Veronesi, con cui ha scritto – insieme al compianto Vincenzo Cerami – i suoi film più belli. Dopo un lungo buio, segnato da depressione e alcol e dalla separazione dalla compagna Annamaria Malipiero, sarebbe dovuto tornare sul set di Olga e i fratellastri Billi nel 2006, ma una caduta rovinosa nel suo appartamento ha determinato un ematoma cranico, un intervento chirurgico d’urgenza al Policlinico Umberto I, settimane di coma, e una faticosa riabilitazione che non è riuscita purtroppo a regalargli il ritorno alla mobilità motoria e all’autosufficienza fisica, e col tempo anche la comunicazione attraverso la parola è via via sfumata. L’ultima, toccante apparizione in pubblico (omettiamo le partecipazioni televisive che non hanno reso giustizia alla sua condizione così fragile immolata all’audience) risale ormai al lontano 11 maggio 2014, al Mandela Forum di Firenze gremito in ogni ordine di posto per la festa di compleanno organizzata dai suoi amici Leonardo Pieraccioni, Carlo Conti, Giorgio Panariello e Marco Masini, uno spettacolo che ha mostrato quanto l’affetto del pubblico nei suoi confronti sia ancora tangibile e intenso. E il Globo d’Oro alla carriera, prestigioso riconoscimento attribuito dall’Associazione della Stampa Estera in Italia, giunto quest’anno alla sua 63esima edizione e che gli verrà attribuito il prossimo 5 luglio, ne è un’ulteriore conferma (sarà Ginevra a ritirarlo, magari ripensando al testo di Sarà per te, la bellissima canzone scritta dal cugino architetto Riccardo Mariotto dedicata appunto a una figlia allora soltanto ipotetica e portata in gara – 1988 – nella 38esima edizione del Festival di Sanremo, interpretata da Nuti in modo impeccabile, e diventata un grande successo l’anno successivo con la cover di Mina inserita nell’album Uailalla).

Non è stata dunque una semplice meteora, la sua carriera dell’attore lanciato nella seconda metà degli anni Settanta – come Carlo Verdone, Massimo Troisi (insieme a Lello Arena ed Enzo De Caro nel trio La smorfia), e tanti altri – nel programma cult Non stop diretto da Enzo Trapani, insieme ai colleghi Athina Cenci e Alessandro Benvenuti (insieme formavano I Giancattivi).

Brillante già nell’esordio solista su grande schermo in Madonna che silenzio c’è stasera (1982), premiato col David di Donatello come migliore attore protagonista al successivo Io, Chiara e lo Scuro (1983), il primo atto di una trilogia sul biliardo proseguita col successivo Casablanca, Casablanca (1985, altro David come migliore attore e primo film anche da regista) e terminata con Il signor Quindicipalle (1998), sfortunato tentativo di risalire la china dopo un inatteso flop. Indimenticabili le due opere successive, con protagonista femminile Ornella Muti (e un coinvolgimento sentimentale da parte di entrambi mai ammesso pubblicamente): Tutta colpa del Paradiso, girato tra le montagne della Val d’Ayas, e Stregati, ambientato in una Genova notturna che – insieme alla colonna sonora di grande impatto – aggiunge ulteriore spessore alla commedia romantica: probabilmente la vetta più alta raggiunta, nonostante il grande successo dei film successivi  Caruso Pascoski di padre polacco (con Clarissa Burt, bellissima modella americana sua fidanzata all’epoca, poi legata a Massimo Troisi che abitava nello stesso palazzo di Nuti al quartiere Parioli, a Roma), Willy Signori e vengo da lontano (con Isabella Ferrari) e Donne con le gonne (con Carole Bouquet).

Un cinema autogestito il suo, il comico interprete originale e scanzonato della vita di provincia è anche regista-sceneggiatore-attore di notevole spessore. La voglia di spingersi oltre, di uscire da una rassicurante comfort zone sulla scia della comicità toscana che aveva negli Amici miei di Mario Monicelli il riferimento da declinare secondo la propria personalità e attitudine, lo spingerà fino allo sfortunato OcchioPinocchio, una rilettura moderna della fiaba di Collodi, il salto di qualità mancato che si rivelerà un disastro. 13 miliardi di lire l’investimento iniziale – notevole per un film italiano – dei produttori Cecchi Gori (poi in rotta con il socio Silvio Berlusconi con cui avevano costituito la Penta) con riprese anche negli Stati Uniti (Texas e Lousiana). Iniziato nel luglio e annunciato per Natale 1993, a novembre – mese della morte di Mario Cecchi Gori – il film interrotto dal figlio Vittorio perché ancora in alto mare, e il budget lievitato fino a una cifra iperbolica compresa tra i 25 e i 30 miliardi. Il set così smantellato, e solo dopo l’intervento dei rispettivi avvocati si arriverà a un accordo per arrivare al montaggio delle scene girate, a nuove riprese nella successiva primavera e alla chiusura del set nell’ottobre dell’anno successivo, con 2 miliardi investiti personalmente da Nuti. Un primo montaggio da 180 minuti cestinato dal produttore, la lunghezza ridotta a 138 minuti. L’incasso al box office sarà di appena 4 miliardi, e sancirà di fatto la fine della sua carriera, alla prima battuta d’arresto.  Perché i film successivi, realizzati tra mille difficoltà, appaiono copie sbiadite del passato e lo stato d’animo pesantemente condizionato da fragilità e insicurezze esplose in un crescente vortice autodistruttivo. E quel commovente “Pinocchio non c’è più” nel finale ha rappresentato purtroppo la triste metafora di un talento unico uscito di scena troppo presto.

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