Giancarlo Giannini, l’antidivo affascinato dalle novità, finalmente nella Walk of Fame

by Claudio Botta

Il prossimo 6 marzo vivrà, finalmente, la consacrazione – annunciata già nel 2020, e rimandata per la pandemia – di una carriera straordinaria con la posa della stella recante il suo nome sul marciapiede di fronte al Dolby Theatre di Hollywood, dal 1958 la Walk of Fame più ambita al mondo, e una successiva cerimonia al Chinese Theatre, dove non mancherà la proiezione di una ricca galleria delle sue interpretazioni più note e iconiche.

Giancarlo Giannini è da decenni ormai una stella di riconosciuta grandezza (la candidatura all’Oscar come migliore attore protagonista per ‘Pasqualino Settebellezze’ risale al lontanissimo 1977), eppure è sempre rimasto sé stesso. Un attore straordinario, un doppiatore stimatissimo da celebri colleghi (è la voce italiana di Al Pacino e Jack Nicholson, tra i tantissimi che è possibile citare), un ammirato docente di recitazione al Centro sperimentale di cinematografia a Roma, che ha formato decine e decine di allievi, un brillante e geniale perito elettrotecnico (è sua la giacca luminosa ‘parlante’ – in sei differenti lingue, giapponese compreso – indossata da Robin Williams nel film ‘Toys’ di Barry Levinson del 1992). Un uomo sempre affascinato dalle novità e anti-divo, un padre che ha convissuto e che convive con uno strappo sul cuore impossibile da ricucire, un figlio morto a 20 anni per un aneurisma. Il più grande attore italiano vivente, ma non elitario – almeno quanto sarebbe lecito attendersi – nelle scelte, versatile e generoso nel passare da produzioni internazionali stellari (tra le tante, è apparso nella saga di James Bond in ‘Casino Royale’ e ‘Quantum of Solace’ nei panni stropicciati dell’agente segreto René Mathis, accanto al protagonista Daniel Craig) a piccoli film come, per fare solo un esempio, ‘Ti voglio bene Eugenio’ di Francisco José Fernandez, girato nel 2001 tra Foggia e Lucera. Piccolo aneddoto personale, legato a quella produzione: lui interpretava un down adulto, ed era la prima volta in assoluto per un non-down. In un’intervista rilasciatami in una roulotte prima di girare una delle scene più importanti, di pomeriggio, alla domanda se fosse un seguace del metodo Stanislavskij e che tipo di preparazione avesse fatto per un ruolo così delicato, la disarmante risposta – accompagnata da un sorriso – fu: “il verbo recitare in francese si traduce con ‘jouer’, in inglese ‘to play’, come ricordava sempre anche Marcello Mastroianni. Giocare, lasciare spazio alla creatività, all’improvvisazione, all’istinto. Per interpretare un personaggio con qualche chilo di troppo si può ingrassare come fa Robert De Niro, oppure mettere una pancia finta come preferisco fare io”. Per poi andare sul set e, qualche minuto dopo, entrare completamente nella parte e dare vita a una performance straordinaria, che gli valse il David di Donatello come migliore attore protagonista per un film uscito in pochissime sale e per qualche settimana appena di proiezione.

80 anni compiuti lo scorso 1 agosto, Giannini è stato preceduto nelle mattonelle riservate alle eccellenze italiane nella Walk of Fame da Luciano Pavarotti, Lina Wertmuller, Gina Lollobrigida, Ennio Morricone, Andrea Bocelli, Bernardo Bertolucci, Sophia Loren, il tenore Enrico Caruso, Rodolfo Valentino, Arturo Toscanini, la soprano Carla Tebaldi, Beniamino Gigli, Anna Magnani, il direttore d’orchestra Annunzio Paolo Mantovani, il tenore Ezio Pinza e la soprano Licia Albanese. L’incontro con la Wertmuller – che gli ha offerto il primo ruolo di protagonista nel musicarello ‘Rita la zanzara’ con Rita Pavone – ha determinato una straordinaria serie di film e personaggi indimenticabili: da ‘Mimì metallurgico ferito nell’onore’ al Tunin di ‘Film d’amore e d’anarchia-Ovvero “Stamattina alle 10 in via dei Fiori in una nota casa di tolleranza…” ‘, dallo strepitoso marinaio Gennarino (che sarebbe poi stato interpretato dal figlio Adriano nel tremendo remake di Guy Ritchie con Madonna) nel cult ‘Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto’ – interpretati con l’altrettanto iconica Mariangela Melato – al già citato ‘Pasqualino settebellezze’, per continuare con ‘Fatto di sangue tra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici’ e ‘La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia’, ultimo set diviso insieme quello per ‘Francesca e Nunziata’, fiction televisiva non all’altezza delle aspettative. Ma Giannini ha lavorato con tanti altri registi, del calibro di Franco Zeffirelli (nelle versioni teatrali di ‘Romeo e Giulietta’ e ‘La lupa’, accanto ad Anna Magnani), Luchino Visconti (‘L’innocente’), Ettore Scola (‘Dramma della gelosia. Tutti o particolari in cronaca’ e ‘La cena’), Dino Risi (‘Sessomatto’), Mario Monicelli, Nanni Loy (altro David di Donatello come attore protagonista per ‘Mi manda Picone’), Tinto Brass (‘Snack Bar Budapest’), Luciano Emmer, Pupi Avati. E all’estero la sua fama si è consolidata apparendo in film come ‘Lili Marlene’ (diretto da Rainer Werner Fassbinder), nell’episodio ‘La vita senza Zoe’ in ‘New York Stories’ (Francis Ford Coppola alla regia), ‘Il profumo del mosto selvatico’ (di Alfonso Arau, con Keanu Reeves ed Anthony Queen), ‘Hannibal’ (il seguito de ‘Il silenzio degli innocenti’ girato a Firenze da Ridley Scott, accanto a un altro mostro sacro, Anthony Hopkins).

Un palmares ricchissimo ma che avrebbe probabilmente meritato ulteriori riconoscimenti e premi (lui stesso ha ironizzato sull’assenza di Leoni d’oro nella sua bacheca, e gli organizzatori e le giurie delle varie edizioni della Mostra del cinema di Venezia dovrebbero interrogarsi in merito), la recitazione vissuta sempre con voglia e capacità di stupirsi e sorprendersi, prima ancora che stupire e sorprendere. ‘Sono ancora un bambino’ è infatti il titolo della sua prima opera letteraria – scritta insieme a Gabriella Greison – e lo racconta perfettamente nella sua sfera meno nota perché custodita gelosamente, nonostante la versatilità e la bravura nel passare da ruoli e generi differenti, nell’entrare e uscire da personaggi cui era in grado di regalare un’anima (i suoi sottoproletari inquieti e grotteschi resteranno indelebili nell’immaginario collettivo di più generazioni), un volto, una voce, un’inflessione, una postura, un comportamento (è sempre stato a suo agio con dialetti e lingue differenti), ma sempre ricordando che sono altri da sé. Un protagonista nato, ma pronto a dividere la scena con colleghi meno noti e dal curriculum improponibile rispetto al suo, a scommettere su talenti emergenti, a non lesinare disponibilità, il rapporto col pubblico diretto e senza filtri, all’insegna del rispetto e non dell’idolatria. Non male per un “attore per caso”, per un perito elettrotecnico diplomato all’istituto tecnico e industriale ‘Alessandro Volta’ di Napoli convinto da un amico a iscriversi, a 19 anni, a un corso di recitazione prima e poi all’Accademia d’arte drammatica a Roma, ma che ha comunque continuato a coltivare i suoi studi iniziali e la passione per le invenzioni, regolarmente brevettate nel tempo. E che la stella con il suo nome sulla Walk of Fame l’ha già riprodotta anni fa, nella casa di campagna in Toscana, ma verrà celebrato come un’icona quando arriverà il momento di quella vera, nella Hollywood dove tanti sogni sono diventati realtà ed altri si sono trasformati in incubi, dove lo star system è regola e non eccezione, e per questo le eccezioni come lui sono ancora più luminose e imprescindibili.

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