Jerry Lewis, l’inconfondibile corpo comico dal cuore d’oro

by Orio Caldiron

Nell’ultima grande stagione del cinema americano nessuno ha incarnato meglio di Jerry Lewis il corpo comico delle origini, snodabile, disarticolato, funambolico, con in più la voce nasale, squittente, inconfondibile, destinata a essere appiattita dal doppiaggio italiano.

Figlio d’arte, Joseph Levitch nasce a Newark, nel New Jersey, il 16 marzo 1926 – da genitori di origine ebraica provenienti dall’est europeo che girano nei piccoli teatri di provincia e d’estate si esibiscono negli alberghi dei Monti Catskill, soprannominati “Borscht Circuit” dal nome della minestra russa – e muore a Las Vegas il 20 agosto 2017.

A sedici anni lascia la scuola per girare l’America a caccia di scritture come imitatore. Quando il 26 luglio 1946 incontra Dean Martin al Club 500 di Atlantic City, nasce una delle più fortunate coppie comiche del periodo. Il clamoroso successo rimbalza subito in televisione e al cinema, dove i loro film sono per parecchi anni in testa agli incassi.

Jerry è l’imbranato, il combinaguai, l’inadatto a tutto e Dean il latin lover amato dalle donne, il crooner dalla voce suadente, quasi il bambino e il fratello maggiore. Mentre fuori dal set è semmai il primo che spopola col pubblico femminile, di cui risveglia l’istinto materno. L’esercito, la marina, l’ippica, il golf, l’horror, il musical sono lo scenario del gioco pirotecnico delle gag che, come in uno specchio grottesco, rimandano alla società americana, ai suoi miti e alle sue contraddizioni.

Subito dopo Hollywood o morte! (1956) – il viaggio del cinefilo verso la città dei sogni per incontrare Anita Ekberg – i due si separano nel corso di uno show al Copacabana di New York. Nei migliori degli altri otto film dell’ex-cartoonist Frank Tashlin, da Artisti e modelle (1955) a Dove vai sono guai! (1963), Jerry è sempre più un personaggio dei disegni animati a cui tutto è possibile.

Il passaggio alla regia era avvenuto con Ragazzo tuttofare (1960), a cui seguono Il mattatore di Hollywood (1961) e Le folli notti del dottor Jerryll (1963), i capolavori metalinguistici di uno straordinario attore-autore che non ha paura di misurarsi con il fantastico, il doppio, la comicità astratta e surreale, facendo e rifacendo le gag del passato come altrettante geniali variazioni jazzistiche, senza mai nascondere il suo debito con Charlie Chaplin e soprattutto Stan Laurel, che considera il più grande di tutti. “Total film-maker”, è più vicino alle sperimentazioni di Andy Warhol di quanto si creda.

Nel 1983 sposa la ballerina SanDee Pitnick, dopo aver divorziato dalla cantante Patti Palmer da cui nel lungo matrimonio aveva avuto sei figli. In Re per una notte (1982) di Martin Scorsese, che lo considera un attore meraviglioso, è il conduttore televisivo rapito dall’aspirante comico Robert De Niro. Improvvisando una battuta che non c’è nel copione, gli dice: “Sono soltanto un essere umano, con tutte le sue debolezze e le sue insidie: lo spettacolo, la tensione, le vallette, i cacciatori di autografi, la troupe, gli incompetenti”.

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