Judy Garland, la diva con la più triste storia dell’età d’oro di Hollywood

by Daniela Tonti

Nel film Judy ,diretto da Rupert Goold, Renée Zellweger impersona Judy Garland ormai sconfitta negli ultimi mesi della sua vita quando era costretta ad esibirsi nei night inglesi per soldi. Una grande prova attoriale da vera mattatrice, ma non restituisce tutto il dramma della grande star, icona gay ante litteram, né costruisce attorno a lei quel glamour maledetto che avvolgeva la sua figura.

La storia di Judy Garland, infatti, è una delle più tristi dell’età dell’oro di Hollywood.

Incoraggiata a intraprendere la carriera di attrice e cantante sin dalla più tenera età da una madre senza scrupoli che lei stessa definì “la vera strega dell’est”, fu una donna fragilissima, vittima di due genitori disfunzionali, di ripetuti abusi e sottoposta da giovanissima all’assunzione di droghe per sostenere i ritmi frenetici di riprese sul set. All’epoca era una pratica molto diffusa somministrare stimolanti o narcotici ai bambini, anche Elizabeth Taylor e Shirley Temple subirono simili trattamenti. 

Nata Frances Ethel Gumm il 10 giugno 1922, Judy Garland è stata una delle tre figlie di Ethel Marion e Francis Avent Gumm, una coppia di attori falliti che fece di tutto per spingere le ragazze verso il successo. A 13 anni Judy firma un contratto con la MGM iniziando con piccoli ruoli. La sua vivacità, la sua voce particolarissima e i suoi occhi magnetici incantarono sin da subito il pubblico. Il successo arriva nel 1939 con il coloratissimo e onirico Il mago di OZ di Victor Fleming. Il film fa dell’attrice la regina del musical degli anni quaranta.

Durante l’adolescenza, Judy Garland fu continuamente vessata dai produttori che erano ossessionati dalla conservazione dell’immagine adolescenziale attraverso il controllo del peso, sottoponendola a drastiche diete a base di brodo di pollo, caffè e sigarette e costringendola a fasciarsi il petto. È stata più volte molestata sessualmente e spinta all’utilizzo di bendzedrina per far fronte a giornate lavorative interminabili. Fu costretta a infilare nelle narici piccoli dischetti di gomma per rendere il suo naso all’insù. L’ossessione per il corpo magro le resterà per tutta la vita.

Non andava meglio sul set dove veniva letteralmente perseguitata dai co-protagonisti adulti, che non accettavano il trattamento da star riservato a una ragazzina.  I simpatici nani del mago di Oz in realtà erano un centinaio di attori nani quarantenni che durante la lavorazione del film molestarono pesantemente la Garland.

Il Mago di Oz ebbe un successo straordinario e la sua voce dolcissima ma incredibilmente potente mentre canta Over the Rainbow, una toccante celebrazione dell’altrove, la destinerà all’olimpo di celluloide dello star system hollywoodiano. Ma il prezzo pagato da Judy Garland fu altissimo. Si convinse a un certo punto che il matrimonio l’avrebbe liberata dalla tirannia della madre e degli studios e così decise di sposarsi con un musicista, David Rose, il 28 luglio 1941.  L’attrice rimase subito incinta, ma sua madre e Louis B. Mayer (che la chiamava la mia piccolo gobba per via della scoliosi) la convinsero ad abortire e il matrimonio naufragò. Fu l’inizio di una inarrestabile discesa nella tossicodipendenza a cui si aggiunse un uso massiccio di alcol.

Judy Garland conobbe il suo secondo marito Vincent Minnelli, sul set di Incontriamoci a St. Louis, un musical che ebbe un grande successo e permise all’attrice di liberarsi dell’immagine da eterna bambina. Si sposarono il 15 giugno 1945.  Ebbero una figlia, Liza, ma gli stili di vita di entrambi misero a dura prova la loro relazione.

Nel 1948 tornata prima a casa dal lavoro, trovò suo marito a letto con un giovane impiegato. Corse in bagno e provò a tagliarsi i polsi ma Vincent la fermò in tempo.  Dopo un paio di giorni, si presentò sul set con i polsi fasciati e il viso pallido. La coppia divorziò nel 1951. Una storia già vista e destinata a ripetersi, che fece riemergere il rapporto di Judy con suo padre, Francis Gumm, venuto a mancare quando lei aveva 13 anni e che durante i periodi di assenza della moglie e delle figlie trovava spesso conforto nella compagnia maschile.

Le conseguenze si ripercossero sulla vita lavorativa. Arrivava in ritardo, scordava le battute o era spesso ubriaca. Nel 1950 dopo il fallimento del film L’Allegra Fattoria lasciò la MGM.

Quando incontrò Sidney Luft la sua stella era in caduta libera. Era precocemente invecchiata e in preda a crisi isteriche e tentò spesso il suicidio. Si sposarono nel 1952, ebbero due figli e lui diventò il suo agente. Fu così che il mito di Judy Garland conobbe una seconda vita con il meraviglioso film E’ nata una stella di George Cukor che riaccese la sua carriera e le valse una nomination all’Oscar.

Il film racconta la storia della talentuosa cantante Esther Blodgett e dell’attore Norman Maine (interpretato da James Mason), che individua il vero potenziale di Esther e la guida verso la celebrità. I problemi della dipendenza, della perdita di se stessi e del suicidio esplorati dal film sono gli stessi che Judy Garland conosceva da vicino.

Ma la sua vita privata scivolò nuovamente sull’orlo del collasso. Luft era un giocatore d’azzardo compulsivo e alcolizzato che bruciava tutti i guadagni dell’attrice. Nel 1960 dopo aver realizzato di essere al verde, Judy lo lasciò. Dopo la sua morte lui tentò persino di truffare l’Academy Awards sostenendo che l’Oscar che l’attrice aveva ricevuto era scomparso e chiedendone una copia. In realtà era stato lui a rubarlo per rivenderlo.

Nel 1965 sposò Mark Herron nonostante la relazione apertamente omosessuale che questi avesse da anni con un altro attore. La figlia di Judy Liza Minnelli trovò Herron a letto con suo marito, il musicista Peter Allen.

Liza Minnelli ha salvato la vita di sua madre moltissime volte impedendo l’overdose di droghe e una volta persino bloccandola fisicamente per evitare che si lanciasse dalla finestra di un hotel. 

Nel 1969 Judy si risposò con Mickey Deans non rinunciando all’idea dell’amore. Deans era un personaggio borderline, si esibiva come musicista nei locali ma era soprattutto uno spacciatore e fu così che lei lo conobbe. A 47 anni Judy Garland era invecchiata, magrissima, con pochi e diradati capelli, gli occhi allucinati e la dentatura rovinata.  La sua ultima apparizione è del 18 giugno 1969.

Quattro giorni dopo venne trovata dal marito nel bagno. Era morta da otto ore, pesava trenta chili e nel referto medico fu scritto che la morte era dovuta a “un’ingestione accidentale di una dose eccessiva di sonniferi”.

Neppure dopo la morte l’attrice trovò pace. Era piena di debiti per cui la salma venne collocata in un obitorio temporaneo dove si dice fu ‘affittata’ per una notte a un gruppo di fan necrofili. Si dice addirittura che le fosse stata amputata la mano destra a portata via. Nel 1970 la figlia riesce a darne una sepoltura più dignitosa e nel 2017 i resti vengono trasferiti al Judy Garland Pavillon a Los Angeles.

L’immagine dell’attrice sullo schermo celebrava i valori della famiglia felice rimandando un senso di semplicità e di normatlità contraddetto profondamente dalle sue vicende personali.

Alcuni critici hanno approfondito il rapporto dell’attrice con la cultura gay. Come Marlene Dietrich e Greta Garbo anche Judy Garland mescolava dei codici nell’abbigliamento per ottenere un aspetto androgino. I suoi ruoli in film come Il Pirata o Ziegfeld Follies fecero della teatralità e della finzione  un tema narrativo centrale. È per questo gioco di apparenze che fu definita una immagine camp.

Judy Garland non rappresentò direttamente uno stile di vita omossesuale ma le sue contraddizioni e la sua androginia giocavano con le apparenze e mescolavano le definizioni di genere. 

Nel 1950 diretta da Charles Walters ne L’Allegra Fattoria eseguiva forse il miglior numero musicale del film vestita con una giacca da uomo e con un cappello in testa. 

La storia della vita di Judy Garland è una storia a due metà. Da un lato, c’è l’epoca d’oro di Hollywood, la voce ipnotizzante di una stella bambina e le trasformazioni technicolor di molti musical da cantare insieme. Dall’altro, c’è l’inquietudine di vivere, i problemi finanziari, l’abuso di sostanze e le insicurezze profonde e persistenti. Il meraviglioso mondo di Oz, qualcuno potrebbe dire, e la triste realtà del Kansas.

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