Katharine Hepburn, irresistibile eroina moderna

by Orio Caldiron

Se vi ricordate di Susanna! (1938) di Howard Hawks sapete di quali irresistibili cataclismi sia capace Katharine Hepburn – nata a Hartford, nel Connecticut, il 12 maggio 1907 – in una magica notte d’estate nel Connecticut mentre – tra abiti strappati, macchine sfasciate, baby leopardi, giardinieri ubriachi, senza contare il crollo dello scheletro di brontosauro – dà la caccia a Cary Grant, il paleontologo riluttante che sta per sposare la sua segretaria. Oggi è considerato uno degli esempi più clamorosi e insuperabili della Screwball Comedy, ma all’epoca fu un fiasco. Nonostante una decina di film alla RKO, qualche successo e un Oscar, è accusata di essere “veleno al botteghino”.

Quando si accorge che la sua carriera cinematografica è in crisi, tira fuori le unghie. La cocciutaggine e lo spirito di indipendenza fanno il resto. Lascia Hollywood e torna al teatro, il suo primo amore. Scritta apposta per lei dall’amico Philip Barry, The Philadelphia Story, trionfa a Broadway, consentendole di negoziare personalmente la rivincita con Louis B.Mayer, il tycoon della Metro. Scandalo a Philadelphia (1940) di George Cukor, ancora con Cary Grant, la rimette in sella, imponendo l’icona della ragazza moderna, appassionata, volitiva, alla ricerca della propria felicità tra intemperanze da maschiaccio e romantiche vibrazioni, in cui almeno in parte si riconosce. Niente calze, né trucco, né profumi o gioielli. Sempre in pantaloni e scarpe da ginnastica si sottrae a interviste e autografi, salvaguardando gelosamente la privacy e l’irriducibile anticonformismo. Alta, magra, le lunghe gambe slanciate, pratica golf e tennis, ma ha un debole per il nuoto, un rapporto privilegiato con l’acqua fredda che affronta tranquillamente in tutte le stagioni. Niente fumo, né alcool. Che sia il segreto dell’eterna giovinezza?

La donna del giorno (1942) di George Stevens segna l’incontro fondamentale con Spencer Tracy. Kate e Spencer saranno per oltre un ventennio una delle coppie più acclamate e popolari dello schermo. Giornalisti rivali, o giudice e avvocato come in La costola di Adamo (1949) di Cukor, strizzano l’occhio alla battaglia dei sessi mentre duettano (duellano?) sul posto di lavoro o tra le mura di casa. Nelle schermaglie tra l’intelligente sensibilità di lei e la testarda mascolinità di lui, non ci sono né vincitori né vinti, ma soltanto strategie di accettazione reciproca come in un riuscito manuale di sopravvivenza interpersonale che, tra sottili perfidie e colpi bassi, riflette i cambiamenti del costume.

Se ne andrà a novantasei anni, il 29 giugno 2003, quasi fino all’ultimo instancabile sul palcoscenico e sul set. Accanto a John Wayne, Yul Brynner, Peter O’Toole, Laurence Olivier, Henry Fonda, Nick Nolte, Warren Beatty. Ma l’avventura più divertente l’aveva forse vissuta con Humphrey Bogart sullo sgangherato battello fluviale di La regina d’Africa di John Huston. Lei ossuta missionaria e lui intrattabile ubriacone sempre pronti a tirar fuori le qualità migliori dell’altro, lasciando affiorare il lato comico delle situazioni drammatiche, anche quando la troupe viene assalita dalle formiche rosse.

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