Monica Vitti, un esempio di arte e di vita

by Mimmo Cicolella

Uno dei cinque “colonnelli” del grande cinema italiano ci ha lasciato da poco. L’emozione che ha pervaso l’Italia, ma anche la “sua” Francia e un po’ tutto il mondo, non lasciava spazio ad una analisi lucida di ciò che è stata Monica Vitti.

Era il lontano 1983, ed ero studente di Sociologia alla “Sapienza” di Roma. All’epoca la facoltà si trovava in piazza Esedra, (ex piazza della Repubblica), nella sede di Magistero. E l’appuntamento, quasi all’alba, per prendere posto in aula magna per seguire le lezioni di Franco Ferrarotti, era al solito bar di Galleria Esedra. Cappuccio, bombolone o krapfen, e poi di corsa per rubare i posti migliori in aula. Ma quel martedì di 39 anni fa, rimarrà per sempre impresso nella mia mente. C’è una donna di schiena alla cassa, con un pezzo di brioche in bocca che farfuglia qualcosa alla cassiera e a stento regge un vassoio con altre brioches. Mi avvicino per darle una mano e di scatto si gira: occhialoni neri, bionda platino e cappottone maxi nero. Sobbalzo, è Monica Vitti. Mi guarda e mi fredda: “ si so Monica, anch’io mangio”. Mi scusi, le faccio io, volevo darle una mano. “.. e dammela sta mano”. Le reggo il vassoio, lei paga e poi mi dice: “grazie. Comunque se vuoi vedere Monica Vitti sta al “Brancaccio” venerdì sera. Ti invito. Ma quando m’incontri per strada so Monica..grazie ancora”. Quel venerdì mi presentai puntuale. Non c’era il suo nome in cartello, ma una serata speciale dedicata al suo maestro, Sergio Tofano. Ci fu una sfilata di grandi attori ed un suo ricordo, assieme ad un altro grandissimo, Paolo Poli. Monica Vitti l’avevo vista solo al cinema e già mi sembrava un gigante, ma in quella performance dal vivo sulle tavole del Brancaccio mi scioccò. Inutile dire, che da quel momento, cominciai a seguirla in tutta la sua carriera. Partendo da una rassegna che scovai per puro caso all’Ambra Jovinelli, dove proiettavano la trilogia dell’incomunicabilità del periodo Antonioni. Fu un’ennesima scoperta, avendola conosciuta solo nella Commedia Italiana. Intanto di una bellezza fuori dal comune e il suo approccio attoriale assolutamente moderno già negli anni ‘60. Unica nel suo genere, accompagnata dalla sua voce roca che aggiungeva al dialogo, mistero ed eros. Ne l’Avventura e l’Eclissi, la Vitti riesce puntualmente a creare nello spettatore un sentimento d’attesa, che dovrebbe sfociare da un momento all’altro in qualcosa di negativo, importante, positivo, e che però non verrà mai estrinsecato definitivamente nella trama del film. Perché la storia è di contorno al protagonismo dell’inerzia del pensiero e dunque della sua azione. E che rende il protagonista un’anima vagante, piegato su se stesso, che troverà nel suo declino la chiusura della comunicazione col mondo esterno. E Monica Vitti suggellava con la sua interpretazione da fuoriclasse, proprio quell’idea di incomunicabilità che voleva esprimere il Maestro Antonioni. Poi fu Mario Monicelli a capire che la Vitti poteva trasformarsi in una grande attrice comica : “la nostra cinematografia è zeppa di uomini comici – diceva Monicelli in un docufilm Rai degli anni ‘70- e Monica Vitti è invece una attrice superlativa che può toccare sia le corde della drammaturgia, che della comicità. Ed è un gigante fra i giganti, assieme a Gassman, Sordi, Manfredi e Tognazzi.” Insomma, il quinto “colonnello” della grande Commedia all’Italiana. Rinnovare quel periodo d’oro del cinema italiano? Impossibile! Trovare una nuova Monica Vitti? Impossibile! Possibile invece far conoscere Monica Vitti ai più giovani al di là del mestiere che vorranno fare nella loro vita. Perché anche nella sua vita privata la Vitti è stata d’esempio. Leggera ma seria, fino alla fine dei suoi giorni. E il suo esempio di donna e di “femminista” ante litteram, hanno segnato profondamente un periodo importante di quell’Italia che oggi la piange e la ricorderà per sempre.

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