Myrna Loy, la vamp orientale

by Orio Caldiron

Spia, ballerina, zingara, geisha, dama di corte, il primo tempo della sua lunga carriera è tutto nel segno dell’esotismo che privilegia parti di cinese, giapponese, araba, messicana, giavanese, altrettante seduttrici rovinafamiglie decise a ammaliare gli uomini con le loro movenze da gatte e a farne di tutti i colori prima di soccombere.

Saranno stati i suoi occhi verdi a mandorla a suggerire ai produttori di imporre alla giovanissima Myrna Loy – nome d’arte di Myrna Williams, nata nel Montana, il 2 agosto 1905 – lo stereotipo della vamp orientale, cattivissima e disinibita, che l’accompagna per almeno un decennio tra l’ultima stagione del muto e l’inizio del sonoro.

Solo quando lascia la Warner per la Metro-Goldwyn-Mayer si afferma negli anni trenta come una delle signore di Hollywood accanto a Clark Gable, contendendosi i ruoli femminili più prestigiosi con Jean Harlow, Joan Crawford, Claudette Colbert che le scippa Accadde una notte. Straordinaria professionista dal glamour discreto e sottile tipico dello stile Mgm ma dal polso fermo in grado di controllare le emozioni sotto le luci sapienti dei cameramen, deve la sua popolarità al personaggio di Nora Charles che con il marito Nick, uno strepitoso William Powell, senza dimenticare il cane Asta, nel ’34 inaugura la fortunata serie giallorosa di L’uomo ombra. La coppia di Nick e Nora, che sin dall’inizio tradisce esplicitamente le asprezze hard-boiled di Dashiell Hammett da cui è tratta, vive per sempre nello spensierato paradiso alcolico dell’Hotel Normandie dove, tra un Manhattan e un Martini, tra un party e una battuta, la moglie perfetta – tollerante e determinata, tenera e leale, elegante e ironica – senza farsene accorgere tira le fila del teatrino privato chiamato matrimonio, strizzando l’occhio al pubblico in cerca di miti di consolazione.

Quando scoppia la guerra, lascia il set per la Croce Rossa. Il grande successo arriva con I migliori anni della nostra vita (1946), il capolavoro di William Wyler che rievoca il ritorno a casa dei reduci in una cittadina del Midwest, in cui è la moglie di Fredric March e la madre di Teresa Wright, una delle sue interpretazioni più intense e vibranti. Subito dopo diventa la moglie di Cary Grant in La casa dei nostri sogni (1948) e di Clifton Webb in Dodici lo chiamano papà (1950), ancora due commedie coniugali dai vivaci tratti farseschi, prima di impersonare la mamma alcolizzata di Paul Newman in Dalla terrazza (1960), la sua ultima apparizione importante. Sposatasi quattro volte, se ne andrà parecchi anni dopo, il 14 dicembre 1993, a New York. All’epoca di Nick e Nora, anche Italo Calvino era stato un fan di Myrna Loy che per lui incarnava “il modello della donna rivale dell’uomo in risolutezza e ostinazione, il prototipo di un femminino ideale forse uxorio forse sororale”. Se ne sentiva rassicurato, mentre lo intimidivano l’aggressività sessuale di Jean Harlow, la passionalità romantica di Greta Garbo e la scatenata vivacità di Ginger Rogers perché non sapeva ballare.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.