US, noi e quelli che vorrebbero essere noi nel film di Jordan Peele

by Giuseppe Procino

Siamo negli anni ottanta.  La piccola Adelaide è in vacanza con i propri genitori in una comunità balneare. Una sera mentre sono tutti e tre al luna park, la bambina si allontana ed entra in una casa degli specchi in cui incontra il suo doppelganger che cerca di strozzarla. Trent’anni dopo Adelaide torna nella stessa casa al mare ma con suo marito ed i suoi due figli. La donna sembra aver superato il trauma infantile e la sua sembra essere la famiglia perfetta. Tutto procede per il meglio sino a quando non giunge l’oscurità e quattro inquietanti figure non entrano nella sua casa.  Tutto abbastanza scontato se non fosse che le quattro misteriose figure, vestite di rosso ed armate di forbici sono le più o meno identiche copie di ogni membro della famiglia di Adelaide.

Jordan Peele torna al cinema dopo lo straordinario successo di Get Out e conferma il suo smisurato talento nella regia e nella scrittura.

Us- noi è un film cupo ma irriverente e grottesco in cui tutto è confezionato ad arte nel puro stile di un horror classico.  Ci sono tutti gli ingredienti per saltare sulla poltrona: una colonna sonora che si incastra alla perfezione con le immagini fotografate con giusti chiaroscuri, quattro protagonisti caratterizzati con estrema attenzione, un’atmosfera pesante e disturbante fatta di momenti insostenibili.

Non c’è nulla di complesso nella formula vincente di questo horror che strizza l’occhio alla migliore fantaparanoia da antologia, pochi ingredienti e pochi effetti speciali ma tutti al posto giusto, quasi come se Peele fosse un attentissimo appassionato del cinema di genere e forse lo è davvero.

Dalla fantaparanoia prende anche il non detto, il messaggio sotteso alla storia, lo spunto di riflessione. Se Get Out si presentava come un intelligente puzzle con cui smascherare il finto perbenismo tollerante di un’America che non ha mai realmente smaltito la sbornia razzista (e badate bene non è un attacco ai sostenitori di Trump che agiscono a volto scoperto), Us nonostante le apparenza si distacca da completamente da una connotazione precisa fornendoci un messaggio umano più allargato sulle differenze sociali: noi ed ovviamente loro, quelli che vorrebbero essere noi, ma non possono esserlo ma che hanno fame di giustizia, di rivendicazione. 

Us non è quindi un film sulla e per la comunità Afroamericana, al contrario è un film indirizzato a tutta la middle e upper class  americana, colpevole di aver scritto le regole di una società in cui il povero resta povero ed il ricco sempre più ricco, incastrata in un universo fatto di relazioni, legami, competizioni sportive. Un universo in cui il destino del singolo sembra già scritto.

Il tema del doppio diviene quindi il mezzo per il paragone tra ingiustizia e fortuna e Us lo fa citando di continuo la filmografia di Romero (tra Dawn of the Dead ma soprattutto forse The Crazies), L’Invasione degli Ultracorpi di Don Siegel ed anche Tobe Hooper e Jacques Tourneur, tutti autori che hanno minato al subconscio di una nazione arrogante e altezzosa.

Peele omaggia con grande stile  e soprattutto non crea una copia ma un’opera originale che cita ma non somiglia a nulla: in un panorama cinematografico da blockbuster in cui la Disney rifà la Disney, la Fox sdoppia la saga degli X-men e il cinema di genere arranca su improbabili remake e sequel fuori scadenza, Peele ha il coraggio di proporre un prodotto coraggioso, ben scritto e senza credits.

Conigli bianchi, passi della bibbia, un omaggio non casuale a Michael Jackson… il nuovo film del regista e comico statunitense si dimostra essere un enigma splendidamente pensato e come ogni enigma che si rispetti nulla è suggerito più del dovuto.

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