Al via il restauro del mosaico policromo del Battistero di Firenze dove l’icona penetra il mistero oltre l’indicibile

by Valeria Nanni

Sono iniziati i lavori di restauro della volta del Battistero di Firenze e finiranno nel 2028. Un imponente lavoro per una imponente superficie, oltre 1000 mq decorati a mosaico policromo voluto dai fiorentini medievali per la magnificenza degli occhi e dello spirito. E invece di chiudere l’edificio ai turisti e al culto, un cantiere inclusivo di restauro permetterà di trasformare i lavori in occasione unica, ritrovarsi faccia a faccia con le figure mosaicate nel Duecento su disegni di pittori come Cimabue, Coppo di Marcovaldo, Gaddo Gaddi. Obiettivo ottenuto attraverso visite speciali esclusivamente condotte dal personale dell’Opera del Duomo a partire dal prossimo 24 febbraio.

Una vera impresa quella di montare ponteggi senza appoggiarli ai lati perimetrali del battistero da parte del Centro di Conservazione Archeologica.

L’impalcatura montata con oltre 8000 elementi in alluminio è tecnologicamente innovativa, dal minimo impatto visivo a terra. La soluzione è stata l’aver scelto un ponteggio a forma di fungo alto 31,5 metri e largo 25,5 metri. Nella parte alta permette di avere una superficie calpestabile di 618 mq, occultata da 500 mq di telo microforato serigrafato con immagini della volta a mosaico. Cantiere ed intervento sono finanziati per 10 milioni di euro dall’Opa che ha progettato insieme a Tecno System Appalti e Layher Spa.

È necessario procedere al restauro di un monumento così come è necessario tutelare ciò che fu concepito per durare, capace di emanare contenuti trasmissibili utili alla collettività. Fondamentale la consapevolezza della tutela come dovere civico. Lo dichiarò già nel ‘700 il vescovo Henry Grègoire sottolineando come “I barbari e gli schiavi detestano le scienze e distruggono i monumenti delle arti, gli uomini liberi li amano e li conservano”. Barbaro può qui essere tradotto come colui che non riconosce la cultura che incontra e la butta via. Schiavo è colui che non può avere una sua identità ed è costretto a subite la storia di altri. Liberi dall’ignoranza che distrugge e ingabbia, ci si apre alla conoscenza di quello che rappresentò il battistero di San Giovanni per la città di Firenze.

“La Bellezza non è solo un aspetto estetico – dice l’arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori – il Bello riconduce al Vero. Il Battistero rappresenta la sorgente della vita cristiana. I marmi parietali decorati secondo disegni geometrici rappresentano il massimo della trascendenza. Dio invisibile è rappresentato grazie all’astrazione geometrica. E poi l’incarnazione, esplicitata dai volti e figure della volta mosaicata. L’icona penetra il mistero oltre l’indicibile. Alterità di Dio invisibile e concretezza della storia della salvezza”.

Misura 1390 mq il mosaico della volta del Battistero di San Giovanni, realizzato con oltre 10 milioni di tessere di diverse dimensioni. Si va da quelle piccole un millimetro e quelle grandi sei millimetri. Le tipologie delle tessere contemplano le paste vitree, le tessere a fondo dorato, quelle calcaree, gli specchi e anche elementi in terracotta. È così che la vollero i fiorentini del Duecento, per realizzare il racconto per immagini di un dramma cosmico, la storia di salvezza dell’uomo di fronte ad un immenso Cristo giudice entro il cerchio dell’infinito e sopra le sfere celesti. Egli, presentato come l’inizio, alfa, e la fine, omega, alla sua destra accoglie la salvezza dei risuscitati a nuova vita, mentre a sinistra respinge i condannati ingabbiati dai propri vizi e corruzioni.

Avanzamento della conoscenza è il restauro di un monumento, così si spera di rispondere ad interrogativi ancora in essere su questo edificio la cui genesi è nutrita di realtà e tradizione “E’ importante oggi recuperare la dimensione del contenuto dell’epoca e non solo la sua forma stilistica. E recuperare il perché è lavoro culturale. Per esempio la visita ravvicinata ai mosaici permetterà di apprezzare il disegno ottenuto da tessere piccolissime, impercettibile dal chi osservava la volta dal pavimento. Le maestranze medievali che hanno eseguito il mosaico immaginavano che ci fosse un occhio divino capace di guardare il disegno nei minimi dettagli, ciò che invece l’occhio umano non poteva vedere da giù”.

Nemico è l’umidità, la quale fu responsabile della fragilità della volta mosaicata del Battistero fiorentino sin dall’inizio della sua esecuzione. Il mosaico è una tecnica molto delicata, suggeriscono gli esperti, e se salta una porzione inizia a saltare tutto come un domino. Già nel Medioevo iniziarono ad infiltrarsi le acque piovane compromettendo all’interno la stabilità delle preziose tessere. Nel ‘300 già fu tempo di restauri, affidati al pittore giottesco Agnolo Gaddi, i cui lavori ad affresco splendono ancora oggi a Firenze nella Basilica di Santa Croce sulle pareti della cappella maggiore. Poi nella seconda metà del ‘400, mentre Botticelli aveva già dato vita ai famosi dipinti della Primavera e Nascita di Venere, si chiese al pittore rinascimentale Alessio Baldovinetti, pagato trenta fiorini l’anno di procedere ad un secondo restauro dei mosaici del Battistero.

Cicli di restauro procedettero poi dal ‘700 al ‘900 periodicamente. Dunque l’ultimo intervento risale ad un secolo fa, quando l’Opificio delle Pietre dure staccò oltre la metà delle tessere per rimontarle su malta cementizia. Il programma di tutela e conservazione iniziato nel 2014 dall’esterno dell’edificio vede nel restauro dei mosaici interni l’azione conclusiva di un lavoro che ha come scopo la valorizzazione completa di un edificio che ha radici Tardo antiche, fulcro della spiritualità cristiana fiorentina, e monumento simbolo del romanico della città del fiore, dedicato al patrono cittadino, Giovanni Battista, nuovo santo di riferimento in città dopo il paleocristiano san Miniato.

Dirà Ernst Gombrich, storico dell’arte austriaco del ‘900, che oggi non è facile comprendere cosa significasse per il popolo una chiesa. Essa era spesso l’unica costruzione notevole, il suo campanile un punto di riferimento per chi veniva da lontano, come il faro per le navi. In contrasto con le umili e basse abitazioni. La chiesa era motivo di orgoglio per i cittadini. Attraverso la grandiosità, bellezza e splendore della creazione artistica, il popolo riconosceva la gloria dell’onnipotente e la immagine della città celeste. E tale era “il bel San Giovanni” anche per Dante Alighieri, che in esilio scrisse la Divina Commedia elaborando una visione di realtà ultraterrena forse impressionato proprio dalle immagini musive del giudizio universale brillante sulla volta. Una brillantezza adesso compromessa negli ultimi cento anni, che sarà riacquistata nell’ultima fase prevista delle operazioni di restauro in atto.

Cantiere pilota sono stati mosaici parietali e quelli sulla volta della scarsella, il cui restauro è già concluso e il visitatore può apprezzarne disegno e brillantezza come un fiorentino del ‘200. “Adesso procederemo con la prima parte di diagnostica dove radar e termografie ci permetteranno di analizzare le diverse tessere e malte presenti – spiega Beatrice Agostini, direttore dei lavori di Restauro dell’Opera di Santa Maria del Fiore – dunque si andrà a consolidare tessere e sottofondo e poi a restituire la perduta brillantezza”.

Chi vorrà avventurarsi nella visita ravvicinata dei mosaici del Battistero potrà imbattersi nelle storie del Battista. Ben visibile la scena della nascita e imposizione del nome “Ihouannes” letto al contrario da un cartiglio scritto al momento da Zaccaria che, come ci dicono le Scritture fu reso muto fino alla nascita del figlio. Di fronte questa scena è ben visibile anche quella del martirio del grande battezzatore, la sua testa giace su di un piatto presentato durante il banchetto di Erode. E poi ancora l’occhio piò scorrere sulle colonnine tortili che separano le scene, sui particolari degli indumenti dei figuranti, su decorazioni geometriche o floreali. Insomma si potrà essere per un po’ quell’occhio divino a cui l’arcivescovo Betori accennava.

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