Alla Magna Capitana la mostra di Zip, il Banksy pugliese. Un felice paradosso a cura di Luciana Fredella

by Enrico Ciccarelli

Sono almeno due gli ossimori, le apparenti contraddizioni presenti nella mostra «Zip vs. Foggia» che resterà aperta fino al prossimo 2 dicembre negli spazi della Magna Capitana. La mai abbastanza elogiata Gabriella Berardi, direttrice della Biblioteca, ha sposato l’iniziativa con la consueta intelligente sensibilità e apertura, e con lei vi hanno aderito uno dei due Circoli Fidapa (la Federasione Donna, Arte, Professioni e Affari) della città, presieduto da Maria Luigia Cirillo, il presidio foggiano di Libera, rappresentato all’inaugurazione da Federica Bianchi, l’Admo (l’Associazione Donatori di Midollo Osseo) con Nella Santoro. L’anima della rassegna è però Luciana Fredella, singolare ed esemplare figura di attivista culturale e civica capace di strenuo impegno, genuina passione e competente coscienza critica.

Zip, lo straordinario street artist foggiano sempre pronto a offrire l’opera sua per buone cause di ogni tipo, dalla legalità al volontariato (e gli aderenti sono tali anche per riconoscenza), è una presenza costante e precaria sui muri della città e dei luoghi circonvicini. Precaria come è nella natura dell’arte di strada, destinata a essere delavata e stinta, rimossa e sovrapposta; costante perché perseguìta con attenzione e determinazione, con una specie di artigianìa pragmatica molto lontana dalle mistiche dell’ispirazione.

Perché pensiamo che la mostra fortemente voluta da Luciana Fredella, che a Zip ha già dedicato un interessante e ben fatto catalogo, abbia più di un elemento paradossale, o di apparente contraddizione? Intanto perché trasporta in un luogo «museale», un ambiente chiuso, espressioni artistiche concepite per altro contesto. D’altronde, se il Pergamon museum di Berlino può ospitare un immenso altare di epoca pagana e se il British può contenere frammenti di Partenone

Il secondo e più sapido ingrediente di questo paradosso sta in una personale dedicata a qualcuno che non si sa neanche se sia una persona. Come quel Banksy a cui è stato più volte accostato, Zip è infatti geloso custode del proprio anonimato; la sua personalità artistica tiene i rapporti con il mondo esclusivamente attraverso Instagram, e potrebbe trattarsi tranquillamente di un avatar, di un nome a cui non corrisponde una persona. Certo, il tratto è così personale e originale da rendere ostica l’ipotesi che si tratti di un nome collettivo, ma a parte questo nulla vieta che possa trattarsi di un cinquantenne impiegato del catasto o di una diciottenne front runner di una tribute band o di un pizzaiolo o…

Ma perché un disegnatore di muri dovrebbe essere interessante, in una città che sembra tollerare e rispettare solo i murales calcistici? Perché è bravo, innanzitutto. Perché ha una formazione culturale di ottimo livello (ormai è difficile pensare a forme artistiche che non siano in qualche modo citazionali) e perché si muove in direzione ostinata e contraria a tutte le mortificanti zavorre della nostra comunità, dal razzismo alla mafia al becero conformismo ignorante. Benché –come detto- non si faccia pregare per partecipare a iniziative ascivibili al politicamente corretto, è anche dissacrante e malizioso: (la vagamente caravaggesca Madonna con bambinone di colore in grembo ed espressione estatica ben poco celestiale è tanto delicata quanto irriverente).

E poi perché ha scelto un nome che allude tanto alla velocità quanto alla connessione. In un territorio slegato e disperso, popolato di network fragili e minimali, le cerniere servono come il pane. Lui ne fornisce molto, non in termini di predica, ma di stimolo. Anche l’opera che per l’occasione ha donato alla Biblioteca ne è un esempio: un simpatico ragazzino vagamente scugnizzo seduto su una pila di libri e sormontato da un cartello con scritto «Casa dei secchioni e delle epistème». Cartello che è anche una lavagna, con relativo corredo di gessetti, sulla quale i visitatori sono invitati a cancellare e scrivere. Perché, ricorda Zip, la Street art è per sua natura arte viva, popolare, «tua».

In un’epoca che è tempo e tempio di visibilità vanitosa, un invisibile ci insegna a vedere. Il felice paradosso di Zip e di Luciana Fredella. Da visitare.

(nel video l’intervista a Luciana Fredella)

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