All’Ara Pacis, gli scatti del grande Robert Doisneau, il fotografo che si lasciava «penetrare dal momento poetico»

by Michela Conoscitore

Appena entrati nel museo dell’Ara Pacis, ad accogliere i visitatori all’inizio del percorso espositivo dedicato al fotografo Robert Doisneau, c’è la musica di Charles Trenet che canta Douce France. Emblematica la scelta della canzone, una melodia che riporta indietro nel tempo perché la visita alla mostra si trasforma nella riscoperta di un’epoca, e di una Parigi, che non c’è più.

Non mi sono mai chiesto perché scattassi delle foto. In realtà la mia è una battaglia disperata contro l’idea che siamo tutti destinati a scomparire. Sono deciso ad impedire al tempo di scorrere. È pura follia”: la missione di Robert Doisneau è sempre stata quella di cogliere l’attimo e custodirlo. In quegli attimi è rimasta intatta l’umanità di uomini, donne e bambini che incontravano il fotografo per le vie di Parigi. Come raccontato da Doisneau, quelli erano tempi in cui la gente si divertiva a farsi fotografare perché erano gli ultimi della società, gente ordinaria oppure bambini delle banlieu. La maestria del fotografo, che con Henri Cartier-Bresson è uno dei padri fondatori della fotografia umanista francese, consisteva soprattutto nel rubare, a modelli inconsapevoli, degli attimi dalla durata di pochi secondi, quindi irripetibili. In questo modo le emozioni, l’ironia e la commovente umanità dei parigini del secolo scorso sono arrivati fino a noi, e raccontano storie incredibilmente affabulatorie.

La retrospettiva, curata da Gabriel Bauret e promossa da Roma Culture – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e Silvana Editoriale Project, sarà visitabile fino al 4 settembre 2022. Le 130 stampe ai sali d’argento in bianco e nero sono dislocate in undici sezioni, che ripercorrono le varie fasi in cui la carriera di Doisneau si articola: Bistrot, Concierges, Enfances, Occupation et Liberation, Le Théâtre de la rue, Le Monde du travall sono solo alcune di esse che, oltre a raccontare delle scelte stilistiche riconducibili ad uno specifico periodo artistico del fotografo, mettono in evidenza la passione di Doisneau per un mondo visibile solo ad occhi empatici e anche un po’ bambini, e che lui è riuscito ad immortalare.

Quello che cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo potesse esistere.

Non è un mondo fantastico, irreale quello del fotografo francese, ma poetico sì. La sua arte dimora proprio in questa peculiare capacità di individuare la poesia in momenti, dai più, giudicati dozzinali; un gruppo di monelli che citofona ai campanelli e scappa via, oppure dei volantini pubblicitari che svolazzano nell’aria, lanciati in una rue parigina. In questo scatto, Doisneau ricorda un po’ l’Amelie Poulain del regista Jeunet. Come a testimoniare che quel modo di guardare alla vita come un interminabile spettacolo con effetti speciali, così parigino, da Doisneau si è tramandato anche ai contemporanei.

L’artista, in quasi sessant’anni di carriera, ha incontrato gli esponenti di ogni ceto sociale, dai ‘piani alti’ alle banlieu, e ognuno di loro ancora oggi non solo racconta le proprie storie, ma insegna anche a vivere: gli anni di lavoro alla Renault, negli scatti della sezione Le Monde du Travall, testimoniano la fatica e il valore prezioso di un’esistenza modesta e, nonostante tutto, dignitosa.

Mi piacciono le persone per le loro debolezze e difetti. Mi trovo bene con la gente comune. Parliamo. Iniziamo a parlare del tempo e a poco a poco arriviamo alle cose importanti. Quando le fotografo non è come se fossi lì ad esaminarle con una lente di ingrandimento, come un osservatore freddo e scientifico. È una cosa molto fraterna, ed è bellissimo far luce su quelle persone che non sono mai sotto i riflettori.

La carriera di Doisneau è stata indirizzata anche dagli incontri, che lo hanno portato ad esplorare luoghi ricchi di umanità. Nei bistrot e nelle banlieu, per esempio, è stato trascinato dal giornalista e poeta Robert Giraud. Nei bistrot, Doisneau ha ritrovato un po’ lo spirito sopito della Belle Époque, maltrattato dai conflitti mondiali ma che ha conservato la propria liricità. Uno dei ritratti più celebri dei bistrot è Mademoiselle Anita del 1951. Nello specchio alle spalle della mademoiselle si intravede il fotografo scattare, negli occhi della donna imbarazzo e incredulità, con la sua femminilità florida e genuina. Nessuna preparazione, solo istanti che Doisneau ritrae e consegna all’immortalità. Le banlieu, invece, come gli operai della Renault, narrano di una Parigi lontana dagli scintillii della Ville Lumière, avvolte nella nebbia e illuminate soltanto dal sorriso dei bambini. Proprio loro, che fossero scolari, monelli di strada e, seppur piccoli affaccendati a far compere per i genitori (Les petits enfants au lait, 1934) attorniati da palazzi enormi, sono tra i soggetti preferiti di Doisneau e una sezione speciale della mostra è proprio dedicata a loro, e contiene tra l’altro anche alcuni degli scatti più belli del fotografo.

La sezione del percorso espositivo che rimane più impressa nel visitatore è, sicuramente, Le Théâtre de la rue: tanti volti, espressioni mimiche facciali indimenticabili come quella ritratta ne Lo sguardo obliquo, suscitano ilarità e dimostrano quanto l’umanità sia straordinariamente originale, colta nella spontaneità di un momento fugace. Una delle foto più celebri, entrata nella storia della fotografia mondiale, fu scattata dal fotografo ad una coppia di ragazzi nel famoso Bacio davanti all’Hotel de Ville (1950). Il ritratto fu oggetto di contesa giudiziaria quando, alcuni anni dopo, una donna accusò il fotografo di aver violato la sua privacy, rubandole quell’attimo di intimità. Ma tutto si risolse con lo smascheramento della menzognera, grazie all’intervento della vera protagonista dello scatto, l’attrice Françoise Bornet, ritratta col fidanzato Jacques. Quello fu un unicum nella carriera del fotografo, poiché Doisneau assistette alla scena ‘originale’, comprese che era proprio quello di cui aveva bisogno per il suo servizio sulla rivista Life, e fece replicare il momento alla giovane coppia. A cui, poi, fece dono dello scatto.

Grandi personalità, membri dell’alta società parigina, operai, portinai, volontari della Resistenza, tutti esseri umani che hanno sfilato davanti all’obiettivo di uno dei maestri della fotografia mondiale, donando un po’ delle loro vite non soltanto a lui, anche a chi ora, a distanza di qualche decennio, li guarda nella contemporaneità e non li dimenticherà mai.

Il fotografo deve essere come carta assorbente, deve lasciarsi penetrare dal momento poetico. La sua tecnica dovrebbe essere come una funzione animale, deve agire automaticamente.

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