“Alphonse Mucha. La seduzione dell’Art Nouveau”, a Firenze in mostra l’artista del cambiamento della condizione femminile

by Valeria Nanni

La mostra “Alphonse Mucha. La seduzione dell’Art Nouveau”, si prepara ad incantare Firenze con una monografia allestita dal 27 ottobre al 7 aprile al Museo egli Innocenti. Definito artista del cambiamento della condizione femminile, pietra miliare della grafica moderna, Mucha ci riporta alla mitica Parigi della Belle Epoche di fine ‘800.

Le sue opere hanno lasciato un’impronta indelebile nell’arte del suo tempo e oggi i volti delle sue modelle sono diventate icona di femminilità e sensualità sotto molteplici forme e caratteri, tanto da definire lo “stile Mucha”. Circa 200 sono in esposizione.

Si possono ammirare in mostra opere illustrate come manifesti e cartelloni, ma anche libri, disegni, fotografie, senza trascurare gioielli e opere decorative. Perché l’Art Nouveau è un’avventura artistica tra rivoluzione e reazione, costante ed effimero, sublime e stravagante, che esplose a fine ‘800 invadendo tutti gli aspetti della vita umana, manifestandosi in tutti i linguaggi artistici. Risponde al bisogno di decorazione considerato come uno dei più elementari bisogni dell’uomo. Pone le basi del concetto attuale di Design. E in nome della definizione simbolista l’Arte per l’Arte, investe tutta la vita, per trasformarla in esperienza totale artistica. Mucha teneva molto infatti a questo concetto e ambiva a creare un modo migliore fornendo l’arte al popolo. L’arte poteva elevare gli spiriti ed educare alla Bellezza.  

Il fenomeno artistico fu internazionale. Lo chiamarono Art Nouveau in Francia, dal nome di un negozio parigino, stile Liberty in Italia dalla denominazione di una Società artistica. In Germania fu denominato Jugendstil, dalla rivista tedesca Jugend, Arte modernista in Spagna, Stile della Secessione in Austria. Per questo non poteva mancare in mostra una sezione dedicata a Galileo Chini, protagonista fiorentino del Liberty, testimone dell’ingresso dell’Art Nouveau in Italia nel 1902. “Preparando la mostra – svela la curatrice Francesca Villanti – insieme alla curatrice della Fondazione Mucha, Tomoko Sato, abbiamo scoperto disegni di gioielli realizzati nel 1899 da Chini davvero simili a quelli disegnati da Mucha nei pannelli decorativi. C’era dunque dialogo e sperimentazione reciproca tra gli artisti”.

Mucha prima di sedurre oggi Firenze con le sue opere fu sedotto a sua volta dalla citta gigliata, in occasione di un viaggio compiuto nel 1885. Egli non mancò di scrivere in una lettera alla sua famiglia di quanto fosse onorato a essere nella città del rinascimento, e delle architetture di Filippo Brunelleschi. “Mai in futuro – scrive – potrà scemare in me l’impressione avuta dalla cupola del Duomo, sia esternamente che all’interno”. E oggi le sue opere sono mostrate in uno degli edifici progettati da Brunelleschi, lo Spedale degli Innocenti, che a dirla tutta è la prima opera architettonica rinascimentale realizzata dal fiorentino padre dell’Architettura moderna.

Eppure Mucha prima di passare da semplice illustratore ad artista deve la sua fama a una donna speciale, l’attrice teatrale Sarah Bernhardt. Per questo la mostra apre con la sezione dedicata a “Donne, Icone e Muse”, perché esse sono il fulcro della sua arte, belle, voluttuose, sensuali, ma anche innocenti, in antitesi con la donna vipera raffigurata in pittura e descritta in letteratura dagli artisti suoi contemporanei. “Sarah era un’artista straordinaria che ha cambiato a teatro il modo di interpretare i personaggi – dice la curatrice Francesca Villanti – il suo essere attrice è centrale nella ricerca artistica di Mucha con il quale attiverà una collaborazione per 6 anni. Egli non la inconizza soltanto nelle locandine degli spettacoli, cura anche scenografie e costumi. Lei nelle illustrazioni di lui vede un artista capace di mettere l’anima dei personaggi rappresentati, esattamente come faceva lei sul palco con le identità dei personaggi che interpretava”.

Costante in tutta la produzione artistica di questo eccezionale interprete di fine ‘800 inizio ‘900 è la sua cultura bretone. Mucha non tronca mai le sue radici culturali e le ripropone nelle decorazioni delle sue opere. La donna è illustrata come parte centrale di un gioiello, contornata da motivi ornamentali ripresi dalle tradizioni culturali di Mucha. Perché l’arte per lui non è mai nuova del tutto, piuttosto evolve in forme nuove, muta, senza staccarsi dalla tradizione. L’uso della fotografia è molto importante in Mucha. Che non si pensi ai suoi manifesti come il solo frutto di immaginazione, tutt’altro sono il risultato finale di uno studio profondo sia dei diversi piani prospettici che delle diverse angolazioni e punti di vista. La fotografia evolve in decorazione, in illustrazione. Un processo in realtà molto complesso, di ricerca artistica.

Nella sezione che riguarda i “manifesti pubblicitari” possiamo ritrovare l’antecedente della pop art, perché Mucha anticipa l’importanza della ripetizione di un’immagine nel procedimento pubblicitario. Egli verrà chiamato da molte aziende leder che lo contendono per reclamizzare i loro prodotti. Parliamo del cioccolato Nestlè, dello Champagne Moet & Chandon, e di prodotti come le sigarette, la birra, i biscotti e i profumi. In questo Mucha è davvero moderno, perché ha capito ed applica il concetto della ripetizione usando la stessa immagine, riconoscibile, sui diversi prodotti aziendali. Costruisce un’immagine che possa rimanere nella memoria. Inoltre, poiché per lui la Bellezza serve a educare il popolo, porta i manifesti dentro le case delle persone comuni.

L’immersione nella Bellezza, l’esperienza di Arte Totale, in linea con i principi del movimento internazionale dell’Art Nouveau è riuscita in mostra grazie anche all’allestimento. Il visitatore inizia infatti il percorso di visita passando sotto una galleria di luci e forme che richiamano le cornici sinuose delle affascinanti donne dei manifesti di Mucha. Si passa poi attraverso un tunnel di pannelli digitali che proiettano a 360 gradi particolari decorativi dai colori pastello delle opere iconiche dell’artista. Così lo sguardo si muove tra disegni preparatori, fotografie e si percepisce la trasformazione della donna in icona di femminilità. Ogni donna è però diversa nel suo genere, nel rispetto assoluto per tutti i temperamenti e caratteri.

La mostra continua nelle sezioni sull’Epopea Slava, che racconta il ritorno di Mucha a Praga. Qui si svela quel suo tratto distintivo attento alla tradizione, che mai dimentica il suo impegno politico e sociale in patria. Tutto concorre nel definire il già accennato stile Mucha, tema affrontato nella penultima sezione dell’esposizione, per poi concludere la visita con la panoramica sull’Art Nouveau in Italia. L’esposizione è dunque una delle possibilità offerte oggi per crescere nel Bello secondo le linee guida di Alphonse Mucha.

 

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