Canova. Eterna bellezza

by Alessandra Belviso

C’è un evidente richiamo al connubio tra la città eterna e Antonio Canova nel titolo della mostra che lo celebra fino al 15 Marzo al Museo di Roma. Un indissolubile legame tra la bellezza di Roma e la bellezza delle opere canoviane nato tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento e destinato a durare in eterno.

A Roma infatti l’artista subisce il fascino dell’arte classica e l’influenza degli ideali neoclassici che lo porteranno a realizzare capolavori come Teseo vincitore del Minotauro, Amore e Psiche, Venere e Adone, Ercole e Lica o Le Tre Grazie. E difende strenuamente il patrimonio artistico della città, soprattutto dopo la nomina di “Ispettore generale delle Antichità e delle Belle Arti dello Stato della Chiesa” con sovrintendenza sull’Accademia di San Luca, i Musei Vaticani e i Musei Capitolini.

 Attraverso 170 opere in prestito da prestigiosi musei e da collezioni italiane e straniere, la mostra promossa e realizzata dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e da Arthemisia, in collaborazione con l’Accademia Nazionale di San Luca e con Gypsotheca e Museo Antonio Canova di Possagno, racconta la storia di questo legame nel percorso espositivo a cura di Giuseppe Pavanello.

Un percorso che sin dall’inizio immerge lo spettatore nella Roma di fine Settecento. Era il 1779 quando il giovane Canova allora ventiduenne vi si recò per studiare gli originali della statuaria antica ed entrò, grazie alle sue eccellenti abilità nella lavorazione del marmo, in una ristretta cerchia di artisti che teorizzavano un ritorno alla perfezione e alla semplicità dell’arte classica. Nel 1792 andava in scena l’Antigone di Vittorio Alfieri, del quale troviamo in esposizione un foglio del dialogo tra Creonte e Antigone: “Scegliesti? / Ho scelto/ Emon? / Morte/ L’avrai”. Parole scolpite, espressioni di pensieri. “Una singola figura può essere la scena di tutta la maestria di un artista”, teorizzava Wincklemann.  Stava nascendo a Roma il nuovo stile tragico che trovò nella pittura i massimi esponenti in Peyron e Mengs, i cui dipinti sono in mostra e in prima fila vi era come uno spartiacque tra due epoche artistiche il Monumento funerario di Clemente XIV, scolpito da Antonio Canova a partire dal 1783.  Il monumento si trova a Roma nella basilica dei Santi Apostoli, mentre in mostra ne possiamo ammirare i disegni e i gessi che Canova realizzava nella fase preparatoria all’opera finale in marmo. Francesco Milzia, critico religioso, ne elogia il riposo, l’eleganza, la disposizione, la semplicità. Nel 1792 Canova inaugura nella Basilica di San Pietro il Monumento funerario di Clemente XIII. Il successo dell’artista è ormai grandissimo, acclamato come il nuovo Fidia. Comincia il pellegrinaggio di regnanti e collezionisti nel suo studio e l’artista viene scelto da Napoleone Bonaparte quale suo ritrattista ufficiale.

Già in questi monumenti funerari vi è tutta la poetica del nuovo stile classico. L’immagine della morte che nell’arte barocca era raffigurata dallo scheletro, nei monumenti funerari di Canova è sostituita dalla figura del genio della morte, che nell’antichità romana era una divinità benevola, un angelo custode. Il marmo della Testa di Genio funebre ricorda l’Apollo del Belvedere. Il gesso del Genio funerario alato e nudo del Monumento per Clemente XIII è l’espressione della parte sublime del bello ideale teorizzato da Wincklemann: la bellezza adolescenziale ispirata a esemplari della statuaria classica.

Il bello ideale per l’arte Neoclassica è raffigurato dall’immagine di Amore. Canova scolpì ben quattro statue raffiguranti Amore, delle quali è in mostra l’Amorino alato.  Commissionato dal principe Jusopov nel 1794 ma spedito in Russia solo nel 1801, rimase a lungo nello studio di Canova e lo scultore continuò a lavorarci portandolo a un sommo grado di perfezione. In quest’opera possiamo ammirare gli effetti di luminosità e trasparenza che riusciva ad ottenere grazie alle sue tecniche raffinate di lavorazione del marmo che rendevano le figure da lui scolpite quasi incorporali e dall’aspetto morbido. Nella sala espositiva l’Amorino Alato è messo a confronto con l’antico Eros Tipo Centocelle, uno dei più noti prototipi classici della figura di Amore.

Endimione dormiente

La figura di Amore alato e ignudo è anche protagonista di quella che viene considerata una delle sculture più belle di tutti i tempi: Amore e Psiche che si abbracciano, iniziata nel 1787.  Nel cortile di Palazzo Braschi è stata istallata una contemporanea riproduzione in scala reale del gruppo scultoreo ideata da Magister in colaborazione con Robotor. A partire da una scansione 3D del gesso preparatorio della scultura, un robot ha scolpito per 270 ore un blocco di marmo bianco di Carrara di 10 tonnellate. Nella sala che è stata allestita come lo studio di Canova via delle Colonnette si può invece ammirare il gesso di Amore e Psiche stanti. In questa sala sembra davvero di trovarsi nello studio dell’artista dove egli studiava con un lavoro metodico e precisissimo le statue che avrebbe realizzato in marmo, prima con il disegno e poi realizzando un modello in gesso sul quale venivano applicati dei chiodini in bronzo che consentivano di trasferire le misure e le proporzioni dal gesso al marmo. Poste una accanto all’altra possiamo ammirare due realizzazioni del gesso dell’Endimione dormiente, di identiche misure, su una delle quali sono visibili i chiodini. La testimonianza di questo lavoro continuo e gravoso che Canova profondeva alle sue opere è raccolta nelle centinaia di gessi conservati nella Gipsoteca di Possagno, città di origine dell’artista, ospitata all’interno del Tempio da lui stesso costruito e dalla quale provengono anche quelli in mostra.

Creugante e Damosseno

Canova nel suo studio amava mostrare le opere al buio, illuminate solo dalla luce di una torcia. Per riprodurne l’atmosfera, le imponenti statue dei pugilatori Creugante e Damosseno sono state collocate in uno spazio poco illuminato dell’area espositiva dove si possono utilizzare delle candele per ammirarne i particolari.

Molto suggestiva è anche la sala che riproduce il salone dei paragoni di Palazzo Papafava di Padova. Una originale creazione dell’arte neoclassica, commissionata allo studio di Canova dal conte Papafava, che divenne espressione figurativa di quello che si può definire il teorema pefetto del gusto neoclassico, il confronto antico e moderno: l’Apollo del Belvedere richiama il Canoviano Perseo Trionfante mentre il Gladiatore Borghese è in coppia con il Creugante.

Danzatrice con le mani sui fianchi

“Ciò che mi rende veramente impaziente è vedere l’effetto che l’opera produrrà nelle menti del pubblico”, scriveva Canova. Nel 1793 scolpisce la Maddalena Penitente, del quale è in mostra il marmo originale che esposto a Parigi nel 1801, verrà definito una “esecuzione magica”. Accovacciata a terra, dov’è posato un teschio, il suo volto è rigato di lacrime, traspose dalla Dafne di Bernini, ammiratissima dal giovane Canova in Villa Borghese. E’ un’opera che esprime una commovente religiosità, ma l’artista è attento all’effetto su chi guarda: “alquanto corta la camiciola, per lasciare che l’occhio si appaghi di tanta bellezza”.

Ultima tappa del percorso, la sala allestita con specchi sulle pareti al centro della quale gira la Danzatrice sui fianchi. La statua è collocata su un piedistallo rotante, proprio come voleva Canova stesso e guardandola sembra di vederla davvero ballare. E’ un capolavoro di leggerezza nel quale è visibile il risultato dello studio  della figura umana in ogni sua angolazione attraverso il disegno. Il disegno fu per Canova un’attività quotidiana a cui si dedicò per tutta la vita per “mandarsi in sangue” sia la metrica della statuaria classica sia il “vero” delle sue forme. E’ grazie a questo continuo esercizio, oltre che alla raffinata tecnica scultorea, che Canova è riuscito a dare anima al marmo.

Canova non sarebbe stato lo stesso senza Roma e Roma senza Canova non vanterebbe opere come l’Apollo del Belvedere o il Laoconte e le tele di Raffaello e Caravaggio riportate in Italia grazie alla sua abilità diplomatica, quando fu nominato Ispettore delle Belle Arti con il compito di recuperare le opere trafugate da Roma e dallo Stato Pontificio e di evitare il trasferimento all’estero di quelle ancora in loco ; ma anche i marmi della Promoteca Capitolina, che fu istituita  quando nel 1807Canova fu incaricato di riordinare e incrementare la raccolta di busti e personalità illustri che si trovavano all’interno del Pantheon ed egli commissionò a proprie spese una quantità di opere. Diventati numerosi, i busti furono quindi trasferiti in Campidoglio.   E Roma non sarebbe la stessa senza il gruppo scultoreo di Ercole e Lica conservato nella Galleria di Arte Moderna, Perseo, Creugante e Damosseno nel Museo Pio Clementino in Vaticano, il rilievo della Morte di Priamo di Villa Torlonia, il Monumento funebre di Clemente XIV nella Basilica dei Santi Apostoli, o quello dedicato a Clemente XIII conservato a San Pietro.

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