Caravaggio e i suoi epigoni napoletani dialogano a Capodimonte in un allestimento sotterraneo

by Antonella Soccio

18 mesi. Dall’ottobre del 1606 al giugno del 1607 e, successivamente, nell’autunno del 1609 per circa un anno fino alla morte avvenuta a Porto Ercole nel viaggio di ritorno verso Roma, nel luglio del 1610. È questo il tempo di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, a Napoli, città in cui l’artista è fuggito dopo l’assassinio di Ranuccio Tommasoni.

18 mesi che segnano profondamente l’arte napoletana e creano una scuola e degli influssi che si rintracciano fin nel verismo ottocentesco e negli scultori dei poverelli da Gemito in poi. Questo dialogo, forte e potente, avviato nella storia dell’arte italiana ed internazionale da Roberto Longhi e che oggi è diventato una vera e propria Caravaggio mania, con trasmissioni televisive, monologhi teatrali come quello di Vittorio Sgarbi, film documentari e monografie, è ben rappresentato dalla mostra napoletana, assolutamente da non perdere, Caravaggio Napoli del Museo e Real Bosco di Capodimonte.

Curata da Maria Cristina Terzaghi e Sylvain Bellenger e promossa dal Museo e dal Pio Monte della Misericordia, con la produzione e organizzazione della casa editrice Electa, la mostra Caravaggio Napoli, approfondisce il periodo napoletano di Caravaggio e l’eredità lasciata nella città partenopea.

Dal confronto di 6 opere del Merisi, provenienti da istituzioni italiane e internazionali con 22 quadri di artisti napoletani, suoi epigoni, i visitatori riescono a scoprire perché Caravaggio sia diventato il mito moderno di tutti gli amanti e gli appassionati di arte.

Caravaggio arriva a Napoli all’inizio di ottobre del 1606, quando la capitale del Sud è molto più popolosa di Roma, con ben 300mila abitanti. Napoli è la città più importante del Mediterraneo e la seconda per grandezza d’Europa. La fuga da Roma è una tragedia per Caravaggio, la condanna a morte lo spinge a scappare e arriva in un luogo dove la scena pittorica è più arretrata rispetto alle botteghe romane.

18 mesi di soggiorno napoletano dunque. Mesi intensi e fondamentali per la sua vita e la sua produzione artistica, che tuttavia risultano meno noti del periodo trascorso a Roma.

Sono almeno quattro i dialoghi in mostra a Capodimonte, in uno splendido allestimento onirico e comunicante, con un gioco di finestre di grande effetto. Un allestimento sotterraneo, come la Napoli sotterranea e la vita dell’artista, costretto a vivere nell’ombra, condannato a morte.

Il primo sbalorditivo dialogo è quello della Flagellazione, con il prestito incredibile della Flagellazione orizzontale custodita a Rouen, Musée des Beaux-Arts.

La flagellazione di Cristo è un quadro in cui Caravaggio così come Picasso e Michelangelo, porta sulla tela una grande violenza. Il suo rapporto con la vita è fatto di violenza. Il Caravaggio napoletano è un assassino, conduce una vita da bandito, da fuorilegge. La figura così tormentata si riflette nei suoi quadri. Perché pittori coevi non scatenano la stessa sua passione? È presto detto, secondo Tomaso Montanari, massimo esperto caravaggesco e del ‘600 in Italia: Caravaggio corrisponde al mondo contemporaneo, ha maturato una grandissima rivoluzione rispetto ai suoi tempi, tanto che la sua influenza sui pittori napoletani si allunga per più di tre secoli.

Nel dipinto il ruolo di riferimento spaziale spetta solo alla lunga colonna. Il restauro e le indagini diagnostiche hanno evidenziato un’aggiunta della tela sul lato destro voluta dallo stesso artista che rende la composizione leggermente decentrata verso sinistra, allo stesso modo della Flagellazione di Rouen. Nella prima sala le due Flagellazioni caravaggesche, bellissime da togliere il fiato, sono accostate alle opere sullo stesso soggetto di Fabrizio Santafede e Battistello Caracciolo. Sulla stessa direttrice si muoverà anche il grande Ribera, la cui lunga attività napoletana sarà fondamentale per il radicarsi di una scuola pittorica che partendo da Caravaggio assumerà nelle diverse individualità una varietà e una qualità davvero straordinarie.

La Flagellazione di Cristo viene commissionata dalla famiglia di giureconsulti de Marchis per la Cappella San Domenico Maggiore ed è il primo importante lavoro per Caravaggio, arrivato a Napoli senza fortune e denari. In mostra ci sono anche i documenti di pagamento datati 1607.

La figura del Cristo e del carnefice sono dipinti con una tecnica diversa dai carnefici con un formidabile contrasto materico e luministico tra Cristo e i flagellatori. La luce della grazia si concentra solo sullo splendido corpo del Cristo sulla colonna.

A testimonianza della traccia profonda lasciata da Caravaggio nella pittura napoletana sono esposte anche il confronto con la Salomé di Caravaggio custodita a Londra (National Gallery) e quella di Madrid (Palacio Real), alcune grandi interpretazioni di Battistello Caracciolo (Museo de Bellas Artes, Siviglia) e di Massimo Stanzione (collezione privata) per la prima volta a Napoli.

I visitatori restano sicuramente abbagliati dalle due diverse Salomè i Caravaggio. Dai colori accecanti quella di Madrid dei Re di Spagna, molto più dimessa quella di Londra. Salomè è la stessa modella utilizzata per Pero della celeberrima pala di Pio Monte della Misericordia, mentre il boia di San Giovanni è lo stesso modello utilizzato per il flagellatore, un viso che tornerà spesso nelle opere di Caravaggio e poi successivamente in tutti i suoi epigoni, quasi come un archetipo, un ideale umano, un “tipo fisico”, grazie al naso schiacciato e all’espressività da esecutore.

La mostra Caravaggio Napoli consente ai visitatori di fare dal bosco anche un viaggetto in navetta verso Le Sette opere di Misericordia, custodita a Pio Monte della Misericordia a Forcella, realizzata dal Merisi per la cappella del complesso religioso nel 1607. Fermata a via Duomo, chi vuole fa sosta per pregare dinanzi a San Gennaro.

La grande pala (390 x 260 cm), è riconosciuta tutt’oggi come una delle più significative rappresentazioni dei vicoli della città e dei suoi abitanti, e manifesta la potente e quasi antropologica connessione tra i dipinti di Caravaggio e l’indole napoletana.

Il soggetto era antico, romanico, gli sarà venuto in monte in qualche crocicchio famoso, mescolato tra ricchi e poveri, scrive Longhi. Cimone e Pero, la popolana che allatta il vecchio. Sono 3 le citazioni remotissime della pala in un quadriglio napoletano, in cui emerge la verità nuda di Forcella e Pizzofalcone. “Si direbbe mai che Caravaggio si sia sentito più libero che in questo quadro”. Caravaggio riesce a portare sull’altare i vicoli di Napoli, il tessuto del quotidiano, come già per altre opere romane, diventa un’immagine sacra. La Madonna precipita in picchiata in un vicolo di Napoli attorno ad una prigione, tutto ruota attorno ad una cella carceraria. Cimone il vecchio carcerato viene sfamato da Pero, la figlia che nutre il padre. Accanto esce un morto, se ne vedono i piedi nel pallore della morte, presi da un monatto i cui lineamenti ricordano quelli di Caravaggio.

L’artista a Napoli, come non mai, dialoga con la luce e con le tenebre, in rimandi che sono attualissimi. Una volta usciti dalla cappella, i visitatori ormai finito il viaggio dell’esposizione, ritrovano la luce di Forcella e dei decumani, emergono dalla profondità dell’anima del pittore, tra i più grandi di tutti i tempi, e trovano Napoli, il sole.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.