“Ci troviamo nel mezzo di una rivoluzione la cui direzione finale ancora non ci è chiara” . Il fotoreporter Massimo Siragusa e la Roma ignota ai flussi turistici

by Marianna Dell'Aquila

Nato a Catania, ma cittadino romano per adozione, si è avvicinato alla fotografia gradualmente e oggi può contare, tra i tanti riconoscimenti, anche quattro World Press Photo. Spinto da Ferdinando Scianna ad intraprendere questa strada, oggi Massimo Siragusa è uno dei maggiori fotoreporter italiani.

Luce e prospettiva sono da sempre elementi alla base della sua ricerca stilistica, ma in questi giorni il fotografo catanese torna a colpire il pubblico con un reportage che, forse volutamente, sembra sovvertire proprio alcuni degli aspetti tipici del suo stile. Si intitola “Roma” il suo ultimo lavoro, un lavoro nel quale il fotografo ha scelto di rappresentare una città meno riconoscibile “nascosta e estranea ai flussi turistici. Una città caotica con i suoi cancelli, ringhiere, muri, alberi, reperti archeologici, auto, che si sovrappongono e si confondono in un caos visivo straordinario e unico. È la periferia. Anzi, le periferie. Diverse tra loro ma accomunate tutte dalla stessa anarchia visiva e architettonica”. 

Oltre 100 scatti in un racconto quasi cinematografico, in cui però la forza narrativa risiede proprio nell’immobilità anarchica (per usare lo stesso termine di Massimo Ragusa) dei soggetti inquadrati.

Lo abbiamo intervistato in occasione dell’omonima esposizione allestita al Museo in Trastevere di Roma (fino al 10 gennaio 2021, lockdown permettendo) a cura di Giovanna Calvenzi e promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali con il supporto organizzativo di Zetema Progetto Cultura. Il progetto fa parte di Romarama, il programma di eventi culturali promosso da Roma Capitale.

Com’è nata la collaborazione con Giovanna Calvenzi?

Conosco Giovanna da molti anni e la considero come una figura di massimo riferimento nel panorama della fotografia italiana, per il suo sguardo critico e per la sua attenzione verso l’analisi del territorio. Non ho avuto alcun dubbio, quindi, nel rivolgermi a lei per chiederle di aiutarmi in questo percorso. Sono felice che abbia accettato volentieri.

Come è nata l’idea di questo insolito viaggio fotografico per raccontare Roma in modo diverso?

Vivo a Roma da oltre 30 anni e ho avuto modo di conoscere a fondo la struttura economica e architettonica di questa città. Mi ha sempre incuriosito l’identità del suo tessuto urbano, con le enormi differenze e contraddizioni che lo caratterizzano. Roma è universalmente celebrata per la sua bellezza e per i suoi luoghi iconici, che la identificano, spesso, come la città più bella del mondo. Ma, accanto alla città del centro, ne esiste un’altra, vissuta dalla maggioranza dei suoi abitanti. E’ su quella parte di Roma, sconosciuta ai flussi turistici, che mi è sembrato doveroso allargare il mio sguardo.

Nei suoi scatti Roma è rappresentata, letteralmente, con un’altra luce. Una luce molto realista che dà una duplice visione allo spettatore:  in alcuni scatti sembra che siano stati i soggetti ad imporsi davanti all’obiettivo, mentre in altri sembrano scovati dalla macchina fotografica. La fotografia può mettere in equilibrio queste due visioni?

Certamente! La fotografia è uno strumento di analisi e comprensione di quello che ci circonda. Come fotografo reagisco agli stimoli e provo a raccogliere suggerimenti e suggestioni. E’ un po’ come se un soggetto si offrisse al mio occhio. Ma c’è, parallelo, anche un processo di scoperta e di ricerca di relazioni che arricchisce l’analisi. Il “trucco” sta proprio nel cercare e trovare questo equilibrio.

Mi dica se sbaglio, ma ha scelto un allestimento in cui le fotografie sono messe in sequenza come i fotogrammi di una pellicola. A guardare quelle sequenze, sembra che l’anarchia visiva, come la chiama lei, acquisti armonia. Perché preferisce parlare di Anarchia visiva e non di caos?

Ha ragione. Ho scelto un allestimento della mostra (ma anche l’impaginato del libro edito da Poscart va nella stessa direzione) volutamente semplice, che ricorda la sequenza di una pellicola cinematografica. L’idea è quella di una successione di immagini che offrano all’osservatore la stessa caotica, anarchica visione che si prova a girare in quell’ampia parte della città. Parlo di anarchia perché la maggior parte della periferia romana si è sviluppata al di fuori di ogni piano regolatore, lasciando alla decisione del singolo l’ultima parola nella gestione dello sviluppo della città.

Pensa che farà altri lavori su Roma?

Roma è una città molto stimolante, ed è difficile resistere alla tentazione del suo richiamo. Credo che ci saranno altre occasioni per raccontare una delle sue molteplici anime.

Dai suoi scatti emerge anche un senso di sospensione che coincide perfettamente con lo stato che stiamo vivendo a causa della pandemia. Aggiungerebbe qualcosa? Andrebbe a indagare altri luoghi della città?

La pandemia ha fatto sì che ci accorgessimo dell’identità della realtà fisica che ci circonda, che sembra avere acquisito maggiore significato nell’assenza dell’uomo. Nelle mie foto ho voluto dare il ruolo di protagonista proprio al senso di sospensione che è determinato dalla mancanza, quasi totale, della figura umana. E’ il luogo a parlare di chi siamo. Per quanto riguarda la mia ricerca su Roma, la considero, al momento, conclusa. Ho progetti in altri luoghi.

In questo momento siamo bombardati di informazioni da ogni mezzo: tv, stampa, radio. Le immagini che vediamo sono quasi solo relegate all’ambito della cronaca quotidiana mordi e fuggi. Secondo lei, c’è qualcosa in più che la fotografia documentarista potrebbe raccontare in questo momento?

La fotografia documentaria ha un ruolo fondamentale nell’approfondire un tema o una notizia. Tra cronaca e fotografia documentaria c’è un po’ la stessa differenza che passa tra una nota di agenzia come l’Ansa e l’articolo di una firma in un settimanale. O tra un articolo in un quotidiano e un libro. Il primo serve ad informare. Il secondo crea relazioni, scava in profondità, fa riflettere. Ecco perché è importante il ruolo che può svolgere una fotografia più meditata e che sappia indagare.

I suoi scatti fermano un momento preciso della realtà che sta osservando, ma sembrano essere quasi dei racconti scorrevoli, hanno qualcosa di molto narrativo. Penso ad esempio a scatti come Leisure Time (2005) o Le bagnanti (2018) in cui le figure sembrano personaggi di una storia. Se lei dovesse immaginare di tradurre in immagini un racconto, da cosa incomincerebbe? 

Ho un forte legame con la letteratura. I romanzi o i racconti che mi accompagnano in un determinato momento svolgono un ruolo fondamentale nella ricerca di un soggetto o di un’atmosfera. Il mio lavoro consiste, alle volte, nel provare a tradurre in immagini l’emozione che un testo mi suscita.

Invece, parlando più in generale, sappiamo che oggi la fotografia è il mezzo su cui si basano tanti mezzi di comunicazione, come i social network. Secondo lei, in questo contesto, che direzione sta prendendo la fotografia come linguaggio e forma d’arte? 

E’ una domanda a cui bisognerebbe dare una risposta molto complessa. Indubbiamente lo sviluppo nei social ha modificato il modo stesso di essere della fotografia e ha fatto nascere molte realtà differenti che si servono della fotografia. Io credo che ci troviamo nel mezzo di una rivoluzione la cui direzione finale ancora non ci è chiara.

Lei è anche docente. Qual è la prima cosa che insegna ai suoi studenti?

A cercare se stessi. Li esorto a leggere molto, ad informarsi e a costruirsi un’opinione personale sul mondo che li circonda. Non si può essere un buon fotografo, se prima non si è una persona consapevole.

Cosa vorrebbe che non dimenticassero mai dei suoi insegnamenti?

Il coraggio di assumersi la responsabilità delle proprie azioni

Ha una fotografia preferita tra quelle che ha scattato lei e tra quelle di altri fotografi?

Molte fotografie di grandi maestri mi hanno accompagnato di volta in volta, nel corso della mia vita. Non riuscirei a sceglierne una. Tra le mie ci sono immagini che hanno avuto un ruolo particolare e a cui sono molto legato, ma mi sembrerebbe di tradire le altre se ne scegliessi una in particolare. Sono tutte mie figlie.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.